Abu Shadi è un professore sessantacinquenne in pensione che vive a Nazareth con la figlia Amal, prossima al matrimonio. Suo figlio Shadi, invece, si è trasferito da tempo a Roma, dove lavora come architetto, ma è costretto a tornare a casa per rispettare la tradizione palestinese del wajib, che impone ai maschi della famiglia di consegnare personalmente gli inviti della cerimonia nuziale. Tra una visita e l’altra, percorrendo una Nazareth consunta a bordo della loro vecchia Volvo, le vecchie tensioni tra padre e figlio tornano a galla in un intenso duello tra due differenti visioni della vita.
Rancori, paure, scontri, riflessioni, ricordi di famiglia tracciano la geografia di una città piegata e divisa, la cui storia si riflette negli sguardi e nei cuori di due uomini, un padre ed un figlio. E’ questo che racconta il bellissimo film della regista Annemarie Jacir, Wajib – Invito al matrimonio, un kammerspiel che si mescola al road movie e che contrappone, e al contempo riavvicina, un padre ed un figlio palestinesi mentre percorrono una città ferita, tra montagne di plastica ed immondizia.
Nazareth è infatti la terza e non meno importante protagonista del film, di cui la regista mette in evidenza ogni contraddizione, attraverso il confronto fra due generazioni che rispecchiano due modi opposti di essere palestinese.
Se il padre rappresenta, infatti, la sottomissione allo Stato d’Israele e la necessità del compromesso per continuare a vivere nella propria terra, il figlio ha preferito la libertà dell’esilio e giudica da lontano, quasi su un piedistallo, la situazione del suo Paese. Il primo non è ancora riuscito ad accettare che il figlio se ne sia andato definitivamente, preferendo raccontare a parenti ed amici che un giorno ritornerà e sposerà una ragazza del posto; il secondo rimprovera al padre la sua rassegnazione e la sua remissività.
Nelle dispute tra queste due figure, ancorate alla bruciante realtà della propria terra, risuona tutta la complessità di una città difficile da vivere ma altrettanto da abbandonare. E nonostante la crescente tensione, che rischia più volte di esplodere in uno scontro feroce, in realtà sempre scongiurato, padre e figlio si ritroveranno uniti a condividere l’emozione di vedere la loro Amal affacciarsi a una vita nuova o a ricordare, attraverso una canzone, episodi felici della loro giovinezza. Perché, così come il wajib rappresenta la tradizione ed il legame inscindibile con le proprie origini, anche padre e figlio restano legati da un filo che nessuna distanza potrà mai a spezzare.
Annemarie Jacir lascia volutamente sullo sfondo i temi più spiccatamente politici e sociali, concentrandosi sull’umanità dei personaggi e sul loro percorso emotivo e identitario; smorza, inoltre, attraverso uno humor delicato e intelligente, i momenti più fortemente drammatici, imprimendo al racconto l’autenticità e l’imprevedibilità della vita.
Wajib è un ritratto sincero, toccante, scevro da qualsiasi giudizio: un autentico gioiello di soavità ed equilibrio narrativi, che brilla per le straordinarie interpretazioni di Mohammad Bakri e Saleh Bakri, padre e figlio anche nella vita. Presentato in concorso, e premiato, al Festival di Locarno 2017, il film è stato selezionato per rappresentare la Palestina agli Oscar 2018 e poi ingiustamente non entrato nella lista dei candidati.
Alberto Leali