Van Gogh. L’odore assordante del bianco torna in scena a Roma, stavolta sul palco del Teatro Vascello, dal 26 novembre all’1 dicembre
È il 1889 e l’unico desiderio del grande pittore olandese è quello di uscire da quell’austera stanza del manicomio di Saint Paul, dove non c’è altro colore che il bianco. La sua prima speranza è riposta nell’inaspettata visita del fratello Theo.
Van Gogh. L’odore assordante del bianco è un thriller psicologico, attraverso l’imprevedibile metafora del temporaneo isolamento di Vincent Van Gogh, interpretato da Alessandro Preziosi, in manicomio, che lascia lo spettatore con il fiato sospeso dall’inizio alla fine.
Il testo è vincitore del Premio Tondelli a Riccione Teatro 2005 per la “…scrittura limpida, tesa, di rara immediatezza drammatica, capace di restituire il tormento dei personaggi con feroce immediatezza espressiva”.
L’autore Stefano Massini, con la sua drammaturgia asciutta ma ricca di spunti poetici, offre considerevoli opportunità di riflessione sul rapporto tra le arti e sul ruolo dell’artista nella società contemporanea.
“Van Gogh ci appare nella stanza di un manicomio – afferma Massini – Nella devastante neutralità di un vuoto si rivela e si indaga la sua disperazione. Il suo ragionato tentativo di sfuggire all’immutabilità del tempo, all’assenza di colore alla quale e costretto, a quell’irrimediabile strepito perenne di cui è vittima cosciente, all’interno come all’esterno del granitico “castello bianco” e soprattutto al costante dubbio sull’esatta collocazione e consistenza della realtà. La tangente che segue la messinscena resta dunque sospesa tra il senso del reale e il suo esatto opposto“.
“Van Gogh – sottolinea Alessandro Preziosi – assoggettato e fortuitamente piegato dalla sua stessa dinamica cerebrale si lascia vivere già presente al suo disturbo. È nella stanza di un manicomio che ci appare. Nella devastante neutralità di un vuoto”. E dunque, è nel dato di fatto che si rivela e si indaga la sua disperazione. Il suo ragionato tentativo di sfuggire all’immutabilità del tempo, all’assenza di colore alla quale è costretto, a quello strepito perenne di cui è vittima cosciente, all’interno come all’esterno del granitico “castello bianco” e soprattutto al costante dubbio sull’esatta collocazione e consistenza della realtà”.