Da martedì 4 a domenica 16 febbraio 2020 per la regia di Armando Pugliese
Elena Sofia Ricci torna in palcoscenico con Vetri Rotti, una delle ultime opere teatrali del drammaturgo statunitense Arthur Miller, ancora oggi studiato e rappresentato in tutto il mondo.
Con lei sul palco Maurizio Donadoni, David Coco, Elisabetta Arosio, Alessandro Cremona e Serena Amalia Mazzone; la regia è di Armando Pugliese.
La prima ufficiale di ‘Broken Glass’ ha avuto luogo al Long Wharf Theatre di New Haven il 1° Marzo 1994. L’edizione italiana ha debuttato a Bologna il 28 febbraio 1995, per la regia di Mario Missiroli, con Valeria Moriconi nella parte di Sylvia Gellburg.
Brooklyn, novembre 1938. Sylvia Gellburg, ebrea, casalinga, viene improvvisamente colpita da un’inspiegabile paralisi agli arti inferiori. Il medico, Herry Hyman, suo coetaneo e conoscente, è convinto della natura psicosomatica del male e, al tempo stesso, è sentimentalmente attratto dalla donna, mentre il marito di Sylvia, Phillip, non riesce ad accettare quanto sta accadendo. Ben presto emerge che Sylvia è ossessionata dalle notizie delle persecuzioni contro gli ebrei in Germania. Sono gli echi della Kristallnacht, ma forse l’angoscia della protagonista per quegli avvenimenti si somma ad altre fonti di frustrazione ed inquietudine…
Arthur Miller, trattando il tema immenso dell’Olocausto, torna pacatamente indietro alla ricerca delle proprie percezioni e sensazioni di allora, ambientando questa sua nuova commedia in una Brooklyn isolata e provinciale, soddisfatta della propria mediocrità.
Note di regia
Dopo aver a lungo cercato una chiave interpretativa del testo di Arthur Miller mi sono risolto a farmi guidare dal titolo con cui l’autore ha voluto chiamare questo dramma.
Il collegamento più vistoso è quello con la Notte dei cristalli, nome dato dagli stessi nazisti ai tremendi pogrom da loro condotti in Germania, e non solo, nel novembre del 1938, ma il richiamo del titolo è sicuramente riferito anche al progressivo incrinarsi del rapporto matrimoniale dei protagonisti, così come viene fatto di pensare al rituale della rottura del bicchiere nel matrimonio ebraico in memoria della distruzione del tempio di Gerusalemme.
Da questi spunti sono emerse e si sono moltiplicate le possibili interpretazioni. Riflettendo sul fatto che Miller scrisse Vetri Rotti quando aveva settantotto anni mi sono spiegato il motivo per cui questo testo rivela una visione molto complessa dell’identità ebraica, con una tessitura interlocutoria, priva di tesi univoche o certezze o dogmi perché illuminata dalla saggia prospettiva dell’età avanzata dell’autore e dalla sua personale lunga esperienza.
La fluidità di questa posizione ha comportato per regia ed interpreti la necessità di assecondare e far vivere ogni ‘frammento’ di ciascun personaggio accettandone ambiguità e contraddizioni come un riflesso fedele della realtà.
Ecco perché le undici scene che si susseguono senza soluzione di continuità ci hanno suggerito di intraprendere la strada di una sorta di montaggio cinematografico, come se il testo fosse il frutto di una sceneggiatura più che di un percorso di drammaturgia teatrale. Mentre la riflessione storicizzata sui drammatici eventi di quegli anni, lontani geograficamente ma intimamente vissuti come vicinissimi, fa da sfondo imprescindibile alla vicenda umana dei personaggi, l’interrogativo sull’identità ebraica e sull’antisemitismo continua per Miller ad essere il fulcro della sua indagine che ci comunica magistralmente e che ci obbliga a riflettere perché ci coinvolge nel profondo.