Un dramma familiare senza giudizio, in equilibrio tra dolore e redenzione. Al cinema dal 24 aprile con 01 Distribution
Con Una figlia, Ivano De Matteo firma una delle sue opere più intense e spiazzanti, scavando con profondità nel dolore che può esplodere dentro le mura di casa e lasciando che siano i personaggi, e non le parole, a parlare. Il film, liberamente ispirato al romanzo Qualunque cosa accada di Ciro Noja, prosegue il percorso del regista romano nella rappresentazione dei traumi familiari, già affrontati in film come Mia o I nostri ragazzi.
Stavolta al centro della storia c’è Sofia (Ginevra Francesconi), adolescente segnata dalla perdita della madre, insofferente alla nuova compagna del padre Pietro (Stefano Accorsi). Un conflitto taciuto, ma sempre sul punto di esplodere, trova una tragica risoluzione in una sera qualunque, in cui un gesto istintivo e violento segna per sempre le loro vite. Nessun mistero da risolvere: l’evento scatenante avviene nelle prime battute del film. Non c’è indagine, non c’è suspense. C’è piuttosto una lenta e dolorosa discesa nei meccanismi emotivi di un padre che si ritrova con la compagna uccisa e la figlia in carcere, e che deve fare i conti con qualcosa che va ben oltre il concetto di colpa.
De Matteo, che scrive la sceneggiatura come sempre insieme a Valentina Ferlan, non cerca scorciatoie né compiacimenti. La sua regia si mantiene lucida, distante, quasi documentaristica, rinunciando a moralismi e giudizi. Il suo sguardo non assolve, ma nemmeno condanna: accompagna. Racconta le conseguenze, le fratture, le cicatrici invisibili. Il film si concentra sulle reazioni, sulle dinamiche emotive innescate da un atto irreparabile, portando sullo schermo una realtà scomoda, priva di facile consolazione.
Ginevra Francesconi offre un’interpretazione misurata e potente, riuscendo a dare corpo e voce a una ragazza chiusa, fragile, costretta ad affrontare un sistema carcerario spietato e una colpa impossibile da scrollarsi di dosso. La sua trasformazione, attraverso il passaggio da un centro di accoglienza al carcere minorile e infine a una comunità, è resa con una sobrietà che colpisce.
Ma il cuore emotivo del film è Pietro, interpretato da uno straordinario Stefano Accorsi, che regala al suo personaggio una gamma di sfumature che vanno dalla rabbia al rifiuto, dal dolore alla lenta riscoperta del proprio ruolo di padre. Un uomo che ha perso una moglie, poi una compagna e infine anche – seppur metaforicamente – una figlia. E che, nonostante tutto, deve trovare un modo per continuare a esserci.
A fare da contrappeso, la figura dell’avvocata Mariella, interpretata con la consueta solidità da Michela Cescon, unica voce razionale in un mare di emozioni confuse, l’unica a suggerire a Pietro una via possibile, per quanto impervia: quella della comprensione, dell’ascolto, della presenza.
A differenza di molti prodotti recenti che hanno affrontato la realtà del carcere minorile con toni più edulcorati o patinati, Una figlia non cerca redenzioni facili. Il confronto con serie come Mare Fuori o Adolescence può venire naturale, ma De Matteo si muove su tutt’altro registro, scegliendo la strada della complessità e dell’ambiguità emotiva. Non c’è da parte sua il tentativo di suscitare empatia per forza, ma piuttosto il desiderio di mostrare, con onestà, quanto possa essere difficile continuare ad amare chi ha distrutto tutto.
Senza bisogno di spiegazioni esplicite, il film costruisce un percorso interiore per entrambi i protagonisti, lasciando emergere gradualmente le fratture precedenti al fatto tragico – il lutto mai elaborato, i silenzi, le distanze. E nonostante l’assenza di una vera e propria catarsi, sul finale resta accesa una flebile speranza: quella che anche nel buio più profondo, un genitore possa trovare una strada per esserci.

Carla Curatoli