“Una famiglia”, in concorso alla 74ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, è l’opera seconda di Sebastiano Riso dopo “Più buio di mezzanotte”, sceneggiata dal regista insieme a Stefano Grasso e Andrea Cedrola, e, come si sottolinea nell’incipit, ispirata a storie vere.
Al centro del film, una coppia della periferia romana, Maria e Vincenzo, che vive una vita appartata e solitaria, nascondendo un terribile segreto. I due vendono, infatti, i propri figli a coppie ricche, ma disperate e pronte a tutto pur di realizzare il loro sogno di paternità/maternità. Maria, però, è stanca e sogna una famiglia propria, in cui poter crescere le sue creature.
Sebastiano Riso affronta non tanto il tema dell’utero in affitto, quanto la disumana pratica, del mercato nero dei neonati, ponendo l’accento anche sulla difficoltà, tutta italiana, di garantire l’adozione, sia per le coppie sposate, che, ancor più, per i single e le coppie omosessuali. Ma mette in scena anche gli effetti deleteri di un rapporto di coppia sadomasochistico, in cui la mostruosità umana va a braccetto con la dominazione e l’egoismo.
Trattando tematiche così drammaticamente feroci e tristemente attuali, Riso sceglie di restare il più possibile aderente alla realtà, premendo, però, il pedale sul melodramma più cupo ed esasperato e sottolineando, in particolare, la sofferenza di una donna vittima e complice di un inconfessabile progetto criminale.
La sceneggiatura costruisce dei protagonisti senza una storia, il cui passato emerge solo a sprazzi attraverso alcuni radi dialoghi. Ciò rende ancora più inquietanti i due personaggi, dinanzi a cui Riso ci mette a distanza ravvicinatissima, ma di cui non afferriamo mai completamente azioni e motivazioni.
O meglio, se, in parte, comprendiamo il personaggio interpretato da Micaela Ramazzotti, più oscuro appare quello del francese Patrick Bruel, a cui la sceneggiatura affida il ruolo del cattivo tout court, senza arricchirlo di sfumature. Si rileva, quindi, una troppo scarsa attenzione alla costruzione dei due protagonisti, di cui, onestamente, si sente il bisogno di sapere di più, per poter riuscire ad entrare nella loro intimità.
Inoltre, gli altri personaggi che gravitano attorno a Maria e Vincenzo appaiono meramente di servizio, ridotti, a volte, a macchietta, come nel caso della coppia omosessuale che decide di comprare il loro figlio o della nuova giovane candidata alla turpe attività, interpretata da Matilda De Angelis.
Ciò nonostante, “Una famiglia” coinvolge e spiazza, disturba e angoscia: Riso costruisce bene la tensione, si affida al ritmo ossessivo della macchina da presa che non si stacca dai corpi e dai volti dei due viscerali protagonisti.
Un film spietato, sempre sul filo del cattivo gusto, freddo come la fotografia di Piero Basso che sottolinea la miseria e l’orrore raccontati.
Un film affatto perfetto, ma di cui è impossibile non apprezzare il coraggio per la scelta dei temi trattati, ben poco praticati nel cinema italiano. La denuncia socio-politica diventa, infatti, motore di un’opera che non ha paura di osare e che non può certo lasciare indifferenti.
Roberto Puntato