Dopo il sorprendente Gloria, il regista cileno torna al cinema con Una donna fantastica, premio per la miglior sceneggiatura a Berlino 2017, che vede nuovamente protagonista una donna, forte e fragile al contempo, messa ai margini da una società gretta e legata a modelli culturali passatisti
Se Gloria metteva al centro una sessantenne che cerca di rimettersi in gioco sul piano dei sentimenti e della sessualità, Una donna fantastica si concentra sulla figura di Marina, nata uomo, ma nella fase di transizione per arrivare a sentirsi pienamente una donna.
Ma ancora un’appartenente a quella categoria di vittime di grandi pregiudizi, di piccole e considerevoli violenze e di marginalizzazione.
Lelio continua, così, a raccontare il suo paese, il Cile, e le sue contraddizioni: un luogo sociale ancora irrisolto, dove le spinte alla modernizzazione faticano a lasciarsi alle spalle i decenni sotto la dittatura.
Come in Gloria, l’aspetto narrativo di Una donna fantastica è intimo e minimalista, ma incisivo e potente.
Marina fa la cameriera, prende lezioni di canto, si esibisce in un club e ha una relazione felice con il maturo imprenditore tessile Orlando, che purtroppo viene stroncata dalla morte improvvisa di quest’ultimo. Da questo momento inizia per lei una vera e propria via crucis: l’ostilità e la violenza della famiglia di Orlando, i sospetti della polizia, il voyeurismo dei medici…
Lelio si mette al servizio della sua notevole protagonista, Daniela Vega, ne esalta, la femminilità, la forza morale, l’umanità, il coraggio.
“Daniela mi ha subito affasciato – afferma Sebastián Lelio alla conferenza romana del film – E’ una cantante lirica, che aveva alle spalle solo qualche esperienza teatrale e un film di diploma, ma non aveva mai recitato qualcosa di questa portata. Noi le abbiamo messo l’intero film sulle spalle e lei è stata una forza della natura“.
Marina non ci viene mostrata come una vittima, né come un personaggio privo di ombre o contraddizioni; è lucida, consapevole di ciò che è, di cosa le spetta come persona e cittadina e di cosa, invece, è ingiustamente privata. La sua è una lotta consapevole, seppur dolorosa e umiliante, contro il borghesisimo e i pregiudizi di una società che preferisce non guardare in faccia la realtà, ancorata a valori di facciata.
Una donna fantastica diviene allora la cronaca, in uno scenario di quotidiana grettezza, dei rapporti tra Marina e le tante figure umane e istituzionali che la respingono e la crocifiggono per la semplice rivendicazione di voler essere considerata un essere umano. La denuncia di Lelio è chiara e diretta; lo stile della narrazione bilancia elementi del linguaggio realista con aperture al simbolismo e all’onirico.
Un “film sui limiti dell’empatia – afferma Lelio – che racconta cosa siamo disposti a offrire agli altri. Un film “transgenere” su una transgender, dall’identità multiforme proprio come quella della protagonista“.
“Non credo nella normalità – continua il regista – E’ solo un concetto politico per “normalizzare” ciò che è diverso, qualcosa in cui ci possiamo nascondere e che ci consente di essere pigri“.
Una donna fantastica è una co-produzione tra Cile e Germania e vede tra i produttori il grande regista cileno Pablo Larraín, già produttore di Gloria, e la regista tedesca Maren Ade, nota per il premiatissimo Toni Erdmann.
Alberto Leali