François Gautier è un violinista avaro fino al midollo. La sola idea di dover mettere mano al portafoglio lo fa star male e per questo è detestato sia dai suoi vicini che dai suoi colleghi di lavoro. La situazione si complica quando l’uomo riceve la visita inattesa di una figlia che non sapeva di avere e che si piazza in casa sua; ma anche quando conosce una donna, una collega violoncellista, che realmente gli piace e che sembra avere un debole per lui. Sin dal divertente prologo iperrealista, che mostra prima una donna incinta lamentarsi col marito del suo essere troppo spendaccione e poi il bimbo nel suo ventre ascoltare il litigio e imparare subito la lezione, capiamo che ‘Un tirchio quasi perfetto’ è un film che promette di farci ridere molto. E la promessa è pienamente mantenuta, merito soprattutto della bravura dell’attore protagonista Danny Boon, amatissimo idolo della commedia francese di successo e che qui si mostra perfettamente a suo agio nell’interpretare un tirchio patologico che ci trasmette subito grande simpatia, nonostante una sequela di azioni sempre più meschine. La mimica facciale di Boon è perfetta e lo spettatore entra subito in sintonia con questo personaggio credibile e immerso nella realtà, ridendo di gusto ogni volta che la sua avarizia viene messa alla prova. I primi trenta minuti del film sono i più spassosi e assistiamo a scene irresistibili, come quella di François con la cassiera del supermercato, a cui l’uomo fa notare, armato di calcolatrice, di aver sbagliato il conto di 3 centesimi, o ancora le ripetute fughe del protagonista per non versare la quota per il regalo di pensionamento al collega, o le telefonate che si interrompono perché il tempo gratuito a disposizione è terminato, o la scena al ristorante di lusso e l’escamotage per non pagare il conto. Una commedia cattivissima, che procede per gag, quasi tutte divertenti, e che scorre rapida e senza cadute di ritmo assicurandoci uno spettacolo brioso, leggero e di rado banale. E anche quando siamo sul punto di credere in una redenzione di François, a seguito di qualche scena un po’ sdolcinata, ecco che la sua tirchieria risale a galla e non possiamo che apprezzare la scelta in sceneggiatura di evitare un epilogo buonista. Riusciti anche i personaggi secondari, non semplici macchiette, ma ben caratterizzati e simpatici quasi quanto il protagonista: si pensi al bancario-psichiatra che ascolta e non sa mai dire di no, ai feroci vicini di casa che si ammorbidiscono dopo aver ascoltato finte storie sulla generosità di François, ai sarcastici colleghi di lavoro, alla dolce violoncellista dagli scatti furenti, alla figlia invadente e impicciona, al vicino sommerso dai bambini e dalle spese. Un divertissement, certo, ma molto riuscito, nonostante un finale un po’ debole e qualche momento meno convincente come la citazione al ristorante di ‘Shining’ di Kubrick.
Alberto Leali