Tratto dall’opera autobiografica omonima di Joseph Joffo, Un sacchetto di biglie narra la storia vera di Maurice e Joseph, due giovani fratelli ebrei nella Francia occupata dai tedeschi, che con coraggio, ingegno e resistenza, ma anche grazie al prezioso aiuto di persone disposte ad aiutarli, riescono a sopravvivere agli orrori nazisti e a ricongiungersi con la loro famiglia.
Christian Duguay, noto per Belle e Sebastien, porta sullo schermo una storia necessaria e toccante, raccontata dal punto di vista di due fratelli, la cui infanzia è irrimediabilmente segnata da una delle più terribili barbarie dell’umanità. Duguay li segue passo passo, con la steadycam e la macchina da presa mobilissima, e ne afferra la variopinta gamma emozionale indugiando spesso su intensi primi piani. Ne coglie così l’ovvio smarrimento ma anche l’incredibile capacità di combattere contro un nemico impreciso che ha tolto loro tutto. Perché Un sacchetto di biglie è una storia di formazione piena di speranza e un inno alla forza dell’infanzia: un film che riesce a emozionare senza enfasi o patetismi, mantenendo sempre la giusta misura.
Ma la riuscita dell’opera si deve anche alla bravura di tutti gli interpreti, in primis dei giovani straordinari protagonisti Dorian Le Clech e Batyste Fleural, a cui si accompagnano gli adulti (e veterani) Patrick Bruel ed Elsa Zylberstein. Apprezzabile è inoltre l’attenzione riservata dalla sceneggiatura alla caratterizzazione dei personaggi secondari, dipinti con poche ma incisive pennellate, e interpretati da attori di razza come Christian Clavier, nel ruolo del salvifico medico Rosen, Bernard Campan in quello del libraio collaborazionista o Kev Adams in quello del partigiano.
Un sacchetto di biglie è un film rigoroso, pulito, attento ad ogni dettaglio; e soprattutto adatto a qualsiasi tipo di pubblico, dai più giovani, a cui fa conoscere, con toni mai eccessivi o traumatizzanti, il dramma dell’Olocausto, agli adulti, che conquista con la profondità della storia narrata. Infine, il film ha all’attivo una regia raffinata, una fotografia suggestiva e una sceneggiatura ben scritta, che copre un ampio arco temporale ed emozionale senza mai sfilacciarsi o sfiorare la retorica.
Alberto Leali