Seconda giornata del Rendez Vous, interamente dedicata alle donne. Oltre a Diane Kruger, vengono infatti presentati due film di due registe di grande talento, che hanno, a seguito delle proiezioni, incontrato il pubblico del festival al Cinema Fismma, sede principale dell’evento. Si tratta di ‘Planetarium’ della regista Rebecca Zlotowski, che ha presentato il film con Louis Garrel, nel cast della pellicola ma anche fra i protagonisti del Rendez Vous di quest’anno, e ‘Le cose che verranno- L’avenir’ di Mia Hansen-Løve, nota come una delle voci più influenti del nuovo panorama cinematografico francese.
Ma veniamo a ‘Planetarium’. Parigi, fine anni Trenta. Le sorelle Kate e Laura Barlow sono due spiritiste americane in tournée per il mondo. Le loro doti colpiscono il produttore cinematografico di origine ebraica André Korben, che per risollevare le sorti della sua azienda in crisi, vuole utilizzare le sorelle per imprimere sulla pellicola la presenza di uno spirito. Opus n. 3 di Rebecca Zlotowski, francese di origini polacche, ‘Planetarium’ è un film intrigante, che attraverso una curiosa commistione di generi e situazioni, si presenta come un prodotto di difficile classificazione e decifrazione.
Il film parte in maniera accattivante, tenendo desta l’attenzione dello spettatore attraverso il disegno di tre personaggi sui generis, le sorelle Barlow e l’imprenditore Korben, che allacciano un rapporto ambiguo e prevedibilmente nefasto. La prima mezz’ora del film è quindi coinvolgente e promettente, in quanto ci conduce in un mondo dal passato scintillante sotto le cui fondamenta serpeggia però il terrore di una minaccia incombente: un mondo che si può sintetizzare perfettamente nel personaggio di Korben, ambigua, affascinante e tormentata presenza mortifera, che, come ha sottolineato alla stampa la Zlotowski, ha lo sguardo del Peter Lorre di ‘M’ di Fritz Lang. In seguito, però, ‘Planetarium’ pare perdere la bussola e lo spettatore ha difficoltà a comprendere dove voglia andare realmente a parare. Colpa di una sceneggiatura fin troppo ondivaga, che genera confusione sfiorando i più disparati elementi (le sedute spiritiche, la figura dell’attrice e il mondo fatuo del cinema, la repressione sessuale e l’omosessualità, il nazismo nascente, gli omaggi al cinema dell’epoca) e i più diversi generi cinematografici senza, però, mai percorrerli completamente. ‘Planetarium’ sposa infatti una indeterminatezza che attrae e al contempo sconcerta, e che a volte costituisce la sua forza, ma altre anche la sua principale debolezza.
Non si comprende infatti quale sia il fine della Zlotowski: mettere in scena un thriller retrò ambientato agli albori del nazismo; un omaggio al cinema anni ’30; un film sulla minaccia di una tragedia incombente; una critica, da un punto di vista femminile, sul cinema e su tutto ciò che gli ruota intorno; una riflessione sull’artificio e sulla finzione; un parallelo fra la figura dell’attrice e quella della sensitiva? ‘Planetarium’ è un film interessante e dal buon potenziale di partenza, che avrebbe potuto, però, essere meglio sfruttato. Regia, costumi, fotografia e scenografie sono infatti ottime, così come lo è la prova di Natalie Portman, la quale porta sulle spalle il peso dell’intero film e fa di tutto per donare spessore a un personaggio obiettivamente un po’ improbabile. Più anonima la giovane Lily-Rose Depp, in un ruolo affascinante, ma che avremmo voluto molto più approfondito, mentre il resto del cast risulta efficace e in parte (notevole il Korben di Emmanuel Salinger). A suo modo comunque, un prodotto seducente e raffinato, che pur se non convince appieno, vanta una certa ibrida originalità e una sua conturbante visionarietà.
Il bellissimo ‘Le cose che verranno- L’avenir’ è invece il quinto lungometraggio della regista Mia Hansen-Løve, interpretato da una sempre superba Isabelle Huppert. La vicenda, che resta fedele allo stile minimalista della giovane cineasta francese, ruota attorno a Nathalie, una donna intrisa di cultura e quasi isolata nel suo sapere. Madre di due figli e moglie di un uomo altrettanto dedito allo studio, Nathalie si sforza di applicare il suo sapere umanistico alla vita di tutti i giorni, che scorre fra le lezioni al liceo in cui insegna filosofia, la lettura di saggi, le continue telefonate di una madre depressa e affetta da sindrome abbandonica, le visite dei figli ormai adulti ed indipendenti. Una vita che subisce però un profondo scossone quando suo marito decide all’improvviso di lasciarla per una donna più giovane. L’amore per la filosofia, che Nathalie insegna con passione e dedizione, diventa il mezzo necessario per affrontare i cambiamenti, per colmare i vuoti, per rimarginare le ferite e per imparare a gestire una libertà a cui non era abituata e che mai si sarebbe immaginata.
La complicità intellettuale col giovane ex allievo Fabien e il paradisiaco universo bucolico in cui egli ha scelto anarchicamente di vivere, allontanandosi dalla vita borghese, saranno per Nathalie di sprone per rigenerarsi e trovare la serenità in se stessa e non tramite gli altri.
I toni del film della regista francese non sono mai né tragici né pessimistici, viene anzi mostrata una modalità positiva e quasi stoica di reagire alla vita, riconquistando il proprio presente e accettando lo scorrere del tempo. Un film lineare, pulito, senza fronzoli, affatto sentimentale, che non perde mai la leggerezza, l’incanto, la poesia, come un film di Rohmer (la stessa regista ha affermato che ‘Il raggio verde’ le è stato di ispirazione). Mia Hansen- Løve riesce pertanto nel non certo facile tentativo di portare l’universo della filosofia al cinema, ponendo quesiti, avanzando e smontando tesi, e offrendoci, forse, molteplici risposte.
Alberto Leali