Taurus City, 2020. Un militare di carriera, Johnny Ferro detto Ulysses (Andrea Zirio), rientra dal fronte dopo sette anni segnato dagli orrori della guerra. Non ricorda quasi più nulla, ma sa che deve ritrovare a tutti i costi sua moglie Penelope (Annamaria Marinca), figlia del signore della città (Danny Glover), che sembra essere scomparsa. Grazie all’aiuto del suo compagno d’armi Niko (Drew Kenney) intraprende un viaggio che lo metterà di fronte a brucianti verità.
Un’Odissea futuristica e affascinante, popolata da personaggi oscuri e dall’animo in subbuglio, è al centro di questo curioso esperimento di Federico Alotto. Ulysses: A Dark Odyssey è un riuscito ibrido che mescola mito, sci-fi, poliziesco, thriller, love story e racconto psicologico, utilizzando il capolavoro omerico come scheletro per rileggerlo in maniera personale e mai intellettualistica.
Il viaggio di questo moderno Odisseo alla ricerca del proprio passato e della donna che ama si svolge in una Torino distopica e dominata dalla droga e dalla corruzione, in cui il protagonista dovrà mettere insieme i pezzi della propria storia.
Ci riuscirà grazie all’incontro con ogni personaggio che incontra sul proprio cammino, dal kebabbaro Pòpov (Stewart Arnold) al dio dei venti Eolo (Giovanni Mancaruso); dalla transessuale Hermes (Mario Acampa) alla seducente Kaly (Charlotte Kirk); dall’oracolo The Seer (Skin) al tormentato Alcyde (Udo Kier).
Ne deriva un Ulisse che fatica ad accettare il proprio passato e che ha cercato inconsciamente di dimenticare la crudeltà della guerra combattuta in Medioriente: un uomo pieno di sensi di colpa verso le persone che ama, che ha perso, che ha abbandonato e teme di non ritrovare al suo ritorno. In tal senso, l’Ulisse di Alotto non si ispira solo a quello omerico, ma fa rivivere l’impianto psicologico e introspettivo del capolavoro di James Joyce, senza mai appesantire la narrazione o smarrendo la sua finalità di intrattenimento popolare.
Ulysses: A Dark Odyssey è uno di quei film che fa ben sperare nel futuro del cinema italiano, specie quando si discosta da percorsi inflazionati, sperimentando territori nuovi ed arditi. Un film girato in inglese e pensato, a ragione, per il mercato internazionale (anche la sceneggiatura è firmata dal regista e dal protagonista Andrea Zirio assieme a James Coyne), illuminato da una regia talentuosa, da una colonna sonora accattivante, da uno stile gustosamente dark e soprattutto da un cast variopinto e convincente.
Alberto Leali