Primi anni ’70. L’America si appresta a rieleggere Nixon per il secondo mandato, la cui campagna elettorale non risparmia colpi bassi. Alla morte di J. Edgar Hoover, Mark Felt (Liam Neeson), vice-direttore dell’FBI, per cui presta servizio da 30 anni, si vede rubare il ruolo di capo da Pat Gray, molto vicino agli ambienti governativi. Felt, che ha sempre rivendicato l’autonomia della sua agenzia rispetto alle ingerenze della politica, comincia una battaglia sotterranea: come svelerà solamente nel 2005, tre anni prima di morire, fu lui la fonte anonima (il famoso “Gola profonda”) dello scandalo Watergate.
Ispirato ai libri dello stesso Mark Felt e di John O’Connor, The Silent Man è l’ennesimo film che scava dentro i segreti dell’America, portando a galla il personaggio, ormai noto ma effettivamente poco raccontato, dal nome in codice “Gola profonda”.
Il riferimento cinematografico più facile è ovviamente Tutti gli uomini del Presidente di Alan J. Pakula, di cui il film di Peter Landesman costituisce il controcanto, cambiando decisamente prospettiva del racconto. Il regista, giornalista investigativo passato al cinema, che maneggia la materia con indubbia sicurezza, punta, infatti, la macchina da presa sui corridoi del potere, dove la politica trama nell’ombra e ha molti segreti da nascondere.
Con un andamento piuttosto classico, The Silent Man percorre due linee narrative: una prima di stampo più propriamente politico, che segue il dipanarsi dello scandalo Watergate e la decisione di Felt di collaborare con il Washington Post; e una seconda che si concentra sulla vita privata di Mark, specie alla luce del suo fragile rapporto con la moglie Audrey (Diane Lane).
Se la prima parte appare interessante, ma lenta e non sempre facile da seguire, la seconda, più convenzionale e superficiale, avrebbe meritato un approfondimento maggiore.
Il problema principale del film, però, è che, nonostante la buona messa in scena e l’accurata ricostruzione storica, è fin troppo fitto di dialoghi, che prevalgono nettamente sull’azione, sfiancando lo spettatore. Non aiutano l’onnipresente e didascalica colonna sonora e la caratterizzazione non sufficientemente sfumata dei personaggi, a cominciare proprio da quello di Felt, verso cui si ha un atteggiamento decisamente troppo celebrativo.
Ottimi sono invece i protagonisti Liam Neeson e Diane Lane, che riscattano, almeno in parte, la regia televisiva e la retorica che di frequente permea la maggior parte dei biopic americani a sfondo politico.
Per chi, però, ama il genere, The Silent Man è decisamente il film giusto, a patto di avere non poca dimestichezza con gli eventi dello scandalo Watergate.
Alberto Leali