1971. Daniel Ellsberg, economista e uomo del Pentagono, consegna al New York Times un dossier di 7000 pagine coperto da segreto di stato, sotto il nome di Pentagon Papers, che rivelava le strategie del governo americano in merito alla guerra in Vietnam, sconfessando ciò che da quattro amministrazioni presidenziali veniva raccontato ai cittadini. La pubblicazione di estratti del documento da parte del quotidiano sfociò in un’ingiunzione richiesta dal presidente Nixon, tesa a bloccarne le pubblicazioni. Nel frattempo, il Washington Post, all’epoca ancora un piccolo giornale in fase di ristrutturazione finanziaria, grazie al coraggio del suo editore, Katharine Graham, e del suo direttore, Ben Bradlee, rimette mano ai documenti e decide di pubblicare lo scattante materiale.
E’ un film urgente, necessario, attualissimo The Post, diretto con energia e passione da Steven Spielberg, che riunisce per l’occasione due titani del cinema hollywoodiano, come Meryl Streep e Tom Hanks.
Spielberg ha la capacità di farci respirare l’editoria che non c’è più, quella lontana dall’informatizzazione e che vive dell’odore dell’inchiostro, del lavoro delle rotative, delle viti e dei macchinari oliati, dei caratteri mobili composti a mano e poi impressi. E soprattutto ci racconta il giornalismo come dovrebbe essere, ovvero “al servizio degli elettori e non degli eletti“, proprio in un periodo storico, come quello attuale, in cui le fake news e le limitazioni alla libertà di stampa tornano ad essere sempre più dilaganti.
Perché The Post è sì un film sul passato, ma che fa risaltare il presente, quello dell’America di Trump: e se nel 1971 Nixon cercò di negare per la prima volta nella storia degli Stati Uniti la libertà di stampa, quello che sta accadendo oggi è forse anche peggiore.
Al centro di The Post, i due personaggi cardine: Kay Graham (a cui è affidato il nucleo emotivo del film e interpretata splendidamente da Meryl Streep), inesperta editrice del Washington Post quando era un quotidiano conosciuto solo a livello locale e cercava il suo posto al sole, e Ben Bradlee (un altrettanto notevole Tom Hanks), direttore del giornale e caparbio e combattivo giornalista. I due decideranno di difendere la libertà di informazione e di pubblicare i famosi Pentagon Papers, rischiando di perdere tutto dal punto di vista professionale e personale.
Ma l’attenzione della sceneggiatura si focalizza soprattutto sul bellissimo personaggio della Graham, la prima donna alla guida di un quotidiano, in una società e in un’epoca storica in cui i ruoli di potere spettavano esclusivamente agli uomini. Sottostimata e tenuta sempre in seconda linea, Kay compirà un incredibile atto di coraggio, affrancandosi dal ruolo di donna relegata ai salotti e ai ricevimenti e prendendo posizione contro una politica corrotta e ingiusta.
Perché The Post, oltre che un saggio appassionato su ciò che dovrebbe essere il buon giornalismo, è soprattutto il racconto della trasformazione di una donna, che impara ad essere coraggiosa, dimostrando di essere per nulla inferiore ai suoi colleghi uomini.
Sfruttando abilmente gli spazi chiusi, tra interni della redazione e dimore lussuose, The Post ricostruisce minuziosamente ambienti e atmosfere, concentrandosi soprattutto sulle dinamiche interne di un giornale che deve prendere la sua decisione più importante.
La sceneggiatura di Liz Hannah e Josh Singer non perde un colpo, il ritmo è incalzante, la regia è sinuosa e senza sbavature, la fotografia di Janusz Kamiński è di grande suggestione, le musiche del fido John Williams sono al solito puntuali.
Un film perfetto nel suo genere: limpido, classico, appassionante, ben inserito nella grande tradizione del cinema americano di impegno civile (impossibile non pensare all’imprescindibile Tutti gli uomini del Presidente di Alan J. Pakula).
Alberto Leali