Al cinema dall’11 novembre distribuito da Walt Disney
Con The French Dispatch Wes Anderson trasloca in Francia e si serve di un gruppone di ottimi attori – francesi e non – per il suo nuovo recipiente di ossessioni e passioni.
Stavolta la sua ultima fatica verte su vicende e personaggi legati alla redazione del French Dispatch, supplemento settimanale del quotidiano statunitense Evening Sun di Liberty, Kansas. Quando il direttore muore, i redattori decidono di pubblicare un numero commemorativo, che raccolga tutti gli articoli di successo che il French Dispatch ha pubblicato negli ultimi anni. Tra questi, il film approfondisce tre episodi in particolare: un artista condannato al carcere a vita per un duplice omicidio, un reportage sui moti studenteschi del ’68 e il rapimento di uno chef.
The French Dispatch è un film che gli amanti del cinema di Wes Anderson non potranno non adorare, perché comprende tutti quegli elementi che rendono il suo cinema così unico e speciale.
Al solito occorrerebbe fermare ogni singola inquadratura per cogliere gli infiniti dettagli che la compongono: Anderson è un regista-pittore, che per minuzia estetica e maniacalità della messa in scena non ha eguali, non solo nel cinema americano.
Il suo universo filmico è fonte inesauribile di storie, personaggi, volti e registri: un cinema denso, soffice come una piuma ma al contempo di grande complessità narrativa e soprattutto formale.
The French Dispatch non fa eccezione, tant’è che ci vorrebbe molto più di una visione per apprezzarlo in tutta la sua stratificata e sovrabbondante bellezza. E’ come se lo spettatore fosse un visitatore alle prese con una città ricca di bellezze: non saprebbe dove posare prima lo sguardo per afferrarle tutte in breve tempo.
Se da una parte il film è un affettuoso omaggio al giornalismo che fu (soprattutto al New Yorker, che per sofisticatezza e ricercatezza ha certamente influenzato il cinema di Anderson), dall’altra racconta storie e personaggi classicamente andersoniani immersi in un universo estetico sempre più innovativo e sperimentale.
Alla consueta ricerca dell’inquadratura e delle geometrie perfette, infatti, Anderson aggiunge l’uso – prolungato ed inatteso – del bianco e nero nonché una coraggiosa quanto spiazzante sequenza animata. Esercizio di stile? Sì, ma sempre di gran classe, supportato da un ritmo incalzante, da dialoghi fittissimi e gustosi e da brillanti rimandi cinefili (Jacques Tati su tutti).
The French Dispatch è come tutti i lavori di Anderson una vera festa per gli occhi a cui abbandonarsi con fiducia e senza riserve. Il regista si conferma, infatti, raffinato illustratore, capace di scatenare la sua fertilissima immaginazione in un tripudio di elaborati e spesso geniali quadri vivant.
Alberto Leali