Progetto vincitore della prima edizione del Premio Leo de Berardinis per artisti e compagnie campane under 35, va in scena dal 14 al 17 novembre
La compagnia teatrale I Pesci porta in scena, dal 14 al 17 novembre al Teatro India, una riflessione tra nonsense e ironia sui grandi temi della vita, tra ricordi, famiglia, morte e arte, con lo spettacolo Caini, per la regia e drammaturgia di Mario De Masi, affidato all’interpretazione di Alice Conti, Alessandro Gioia, Giulia Pica, Fiorenzo Madonna, Antonio Stoccuto.
Sul palcoscenico si anima un segreto di famiglia che si snoda tra verità e menzogna, colpa e pena, arte e convenzioni sociali, un ritratto convulso delle ossessioni di un nucleo chiuso ed esclusivo, costruito attorno a un legame di sangue irrevocabile e a un patto indissolubile.
La storia inanella le vicende della famiglia Caini, soprannome che il vicinato gli riserva tacciandoli di una identità avvolta nel mistero e fondata sulla esclusione di tutto ciò che è estraneo: un padre morto in circostanze poco chiare, che lascia soli la madre e i tre figli, due maschi e una femmina, a custodia di un segreto. Tuttavia, l’ingresso di una figura esterna, scuote il gruppo familiare innescando dubbi, fragilità e conflitti tra modi di intendere il mondo, che porteranno alla luce l’oscuro segreto.
Difatti, quando la ragazza conosce in discoteca un artista, un giovane ossessionato dalla propria ricerca intorno al concetto di verità e dal processo di creazione di una nuova opera, la sua entrata in famiglia ha una portata rivoluzionaria. I Caini si ritrovano, loro malgrado, a confrontarsi con la curiosità e la candida trasparenza dell’artista, rischiando di mettere a repentaglio il segreto e l’esistenza stessa del nucleo familiare.
La situazione precipita nel momento in cui il giovaneespone la sua visione, l’intuizione che porterà alla prossima opera. La sua ricerca della verità lo conduce a toccare, involontariamente, il nervo scoperto della famiglia, suscitandone così la reazione violenta. La rivelazione dell’omicidio del padre, compiuto anni prima da loro stessi, mette la famiglia di fronte allo specchio della propria coscienza sporca di sangue fino ad approdare a un epilogo tragico e beffardo.
«Il progetto Caini è il terzo capitolo di una trilogia dedicata alla famiglia. Nel primo capitolo, Pisci ‘e paranza (2015), abbiamo affrontato il tema della famiglia in relazione alle questioni della marginalità e della ricerca degli spazi vitali. Supernova (2018), il secondo capitolo, è un lavoro attraverso il quale abbiamo indagato i processi di disgregazione di un nucleo familiare, alle prese con le dinamiche dell’elaborazione del lutto. Con Caini vogliamo intraprendere un percorso di ricerca che indaghi i concetti di verità e menzogna, il rapporto tra colpa e pena e la relazione necessaria tra sacro e violenza nel sacrificio – racconta il regista Mario De Masi – Il codice dei Caini impone loro di essere impietosi e di stare uniti. Un ordine condiviso di reticenze e dimenticanze – quasi rimozione collettiva – e un orizzonte di senso che si organizzano intorno al mantenimento del segreto».
Lo spazio dell’azione è la cucina, intorno ad un grande tavolo, dove madre e figli rinnovano la loro reciproca appartenenza a un mondo greve, arretrato, coeso, fatto di misoginia paesana, religiosità viscerale e contraddittoria, un’impietosa visione del mondo.
«Tutto ciò che è estraneo viene considerato ostile, portatore di una diversità che se non si omologa non viene riconosciuta e, che di conseguenza, va eliminata. Il discorso dell’artista sulla verità e il suo modo di essere – candido, puro, trasparente – aprono una breccia nell’identità monolitica dei Caini e fanno emergere dubbi, fragilità che rischiano di mettere in discussione la stessa presunta indissolubilità del loro patto di sangue – continua il regista – A questo punto lo scontro tra prospettive e modi di stare al mondo diviene inevitabile e riconferma le rispettive identità, rimarcandole e irrigidendole. Messi di fronte allo specchio e viste smascherate, per puro caso, le dinamiche dell’assassinio del padre, da loro stessi compiuto anni prima, essi rivivono il lato macabro dell’atto fondativo della loro comunità. La mimesi del loro segreto è la goccia che fa traboccare il vaso, che accende la miccia della violenza sacrificale, atto espiatorio che ristabilisce l’ordine del patto familiare. L’arte assolve qui al suo compito: smuove le coscienze, illumina le convenzioni che crediamo verità assolute. Problematizza il nostro posto nel mondo, ci sposta, ci commuove. Tale ricerca contrappone la solitudine assoluta dell’artista all’omertà dei gruppi familiari e sociali che funzionano e si stringono intorno alla menzogna del linguaggio. Per dirla con Nietzsche questi ultimi funzionano nella misura in cui ‘mentono bene’, i suoi membri sono in grado di gestire le loro interazioni attraverso un codice, una convenzione, una serie ordinata di menzogne».