In scena dal 6 al 10 marzo
Leonardo Manzan, giovane autore e regista di talento, due volte vincitore della Biennale di Venezia con gli spettacoli “Cirano deve Morire” nel 2018 e “Glory Wall” nel 2020, presenta un titolo che non avrebbe bisogno di ulteriori chiarimenti: “Uno spettacolo di Leonardo Manzan”.
Dopo aver fatto incontrare il teatro con il rap e il dj set e dopo aver censurato il palcoscenico con l’installazione artistica di un muro di 12 metri, in occasione del suo nuovo lavoro, Manzan trasforma il teatro nella sala di un museo d’arte contemporanea.
Allestisce un vernissage che si presenta così: “Ogni opera d’arte potrebbe intitolarsi autoritratto”. Per questo accoglie il pubblico in piedi su un piedistallo. “Benvenuti. È un vero onore essere qui.” Dice. Sottinteso: per voi.
In questa mostra che diventa spettacolo, Leonardo Manzan espone sé stesso come opera d’arte e offre così un cabaret di assurdità, paradossi e provocazioni narcisistiche in una performance convintamente autoreferenziale.
Uno spettacolo contro i luoghi comuni dell’arte contemporanea. Una parodia dell’autofiction che riflette sul problema del culto di sé in assenza di sé, sul dramma di chi dice io senza nessuno che gli risponda tu e sulla mediocrità che si autocelebra.
Un tentativo disperato di ristabilire il principio dell’eccezionalità dell’artista e negare la democrazia nel campo dell’arte. Perché c’è un motivo per cui lui è sul piedistallo e voi no.
Un invito agli artisti a prendersi con arroganza la scena per uccidere il personaggio protagonista del teatro di oggi: il perdente di talento. Uno spettacolo di Leonardo Manzan. C’è altro da aggiungere?