Dal 1° ottobre al 4 ottobre nell’adattamento di Linda Dalisi, per la regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà
Sul palcoscenico del Teatro Argentina debutta La Ferocia, dall’omonimo romanzo di Nicola Lagioia, spettacolo già apprezzato e applaudito nella passata stagione, e che torna sulla scena romana dal 1° ottobre al 4 ottobre in collaborazione con Romaeuropa Festival nella creazione firmata dal collettivo artistico VicoQuartoMazzini.
Una storia italiana che risuona nel nostro contemporaneo attraverso la forza narrativa di un romanzo uscito quasi un decennio fa per Giulio Einaudi Editore, vincitore nel 2015 del Premio Strega e del Premio Mondello, e che trova traduzione in forma teatrale nell’adattamento di Linda Dalisi, per la regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà, anche interpreti, per portare in scena il trionfo e la rovina dell’occidente raccontati attraverso la famiglia Salvemini.
Una saga familiare in cui le colpe dei padri si specchiano nelle debolezze dei figli: un bestiario di ricatti che indaga sulla nostra incapacità di sopprimere l’istinto di prevaricazione e il nostro essere perennemente incatenati alle leggi della natura.
La Ferocia prende le mosse nella ricca periferia barese, dove Vittorio Salvemini (interpretato da Leonardo Capuano), costruttore pugliese arrivato a Bari poco più che trentenne, dagli anni ‘70 in poi ha inanellato una serie di successi professionali che l’hanno portato a essere proprietario di cantieri edili su cui non tramonta mai il sole, da Bari a Phuket, passando per Parigi e Istanbul.
Solo le contraddizioni di qualunque ascesa sfrenata riusciranno a mandare in frantumi le sue sicurezze. A queste è legata la morte della figlia Clara, trovata nuda e ricoperta di sangue sulla provinciale che collega Bari a Taranto, un evento che apre una finestra sulla mancanza di affettività e sui rapporti di potere all’interno della buona borghesia. Il ritratto delle contraddizioni e della violenza del Sud Italia si schiude allo sguardo di Michele, il fratellastro di Clara, tornato a ricostruire la vita della sorella per scoprire le cause della sua morte. È la sua vicenda a racchiudere la storia di una famiglia, di una città, delle responsabilità dei padri che si specchiano nelle debolezze dei figli e nella ferocia del potere e del denaro che marchia il tempo che stiamo vivendo.
La vicenda dei Salvemini ha il calore di una tragedia contemporanea, particolare e universale allo stesso tempo, e nutrendosi delle parole dalla penna di un romanziere nato e cresciuto in un meridione da sempre attraversato da grandi narrazioni, si concede la possibilità di raccontare il Sud non come un’eccezione ma come la regola: «di conseguenza ci chiediamo: il Sud può essere una sineddoche? Può assurgere al ruolo di protagonista del dramma di un mondo fuor di squadra, dove il crollo economico dell’occidente e l’incomunicabilità tra sostenibilità ambientale e progresso siano soltanto alcuni dei sottotesti che ci rifiutiamo di interpretare? In fondo il Sud conosce bene questa parte, l’ha imparata a memoria molti secoli fa, ripetendola sottovoce, e ora è pronta a rivelarla a un’umanità che ha smesso di allungare i suoi tentacoli per avvinghiarsi attorno a narrazioni di sistemi economici, sociali e politici stantii, incapaci ormai di tradurre i cambiamenti del presente – cosi racconta la compagnia pugliese VicoQuartoMazzini, fondata da Michele Altamura e Gabriele Paolocà – Nel pensare la regia dello spettacolo abbiamo scelto di mettere al centro, nella sua assordante assenza, il corpo di Clara, chiuso nello sguardo di tutti quelli che hanno creduto di poterlo possedere. Intorno, l’abissale e cruenta vanità del potere rappresentata dagli altri membri della famiglia e da tutti coloro che sono coinvolti nei loro affari A fare da contraltare un figliastro tornato come un Oreste contemporaneo a gridare vendetta e un giornalista ossessionato da una frenetica fame di verità e da un amore sconfinato per la terra in cui è nato».
Così nutrendosi delle atmosfere noir e gotiche del romanzo, Altamura e Paolocà, con medesima lucidità e ironia, ci restituiscono un ritratto del nostro paese attraverso una messinscena dirompente e tagliente, affidato a un cast quasi interamente al maschile per raccontare la ferocia del mondo patriarcale, con unica attrice in scena, Francesca Mazza nei panni di una mater familias non meno spietata. Intorno a lei, una galleria di personaggi atrocemente realistici agiscono all’interno di una scena (firmata da Daniele Spanò con le luci di Giulia Pastore) che da luogo realistico (l’interno della villa dei Salvemini) si trasforma in paesaggiometafisico delle vicende narrate in questo spettacolo prodotto da SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione (insieme a Elsinor, Romaeuropa Festival, LAC – Lugano Arte e Cultura, Teatri di Bari e Teatro Nazionale di Genova).