A 41 anni dal cult di Dario Argento, arriva il tanto atteso e chiacchieratissimo Suspiria di Luca Guadagnino, presentato in concorso nella selezione ufficiale del 75esimo Festival di Venezia.
Ebbene, chi si aspetta una copia carbone rimarrà certamente deluso, perché la nuova fatica di Guadagnino si stacca radicalmente dal film di Argento, per costruire un impianto narrativo più corposo e complesso composto da sei atti e un epilogo.
Se infatti il Suspiria del ‘77 bada ben poco alla trama per privilegiare le esaltanti trovate registiche e visive, quello di Guadagnino amplia gli orizzonti dell’originale, prendendo direzioni inattese, a volte fascinose, a volte spiazzanti.
Il risultato è così un’opera totalmente nuova, che condivide col predecessore soltanto il soggetto (di Dario Argento e Daria Nicolodi). La fredda Friburgo del primo film lascia il posto alla Berlino del 1977, reduce da una guerra che l’ha divisa a metà e afflitta dall’incertezza politica e dal terrorismo (è l’epoca della famigerata banda Baader Meinhof).
L’inizio del Suspiria di Guadagnino, pur se diverso da quello bellissimo di Argento, è davvero efficace: la giovane Patricia (Chloë Grace Moretz) si reca delirante e in stato confusionale presso lo studio del suo psicoterapeuta, che si scoprirà man man avere un ruolo sempre più rilevante nella vicenda. Nelle parole sconnesse della ragazza si annida qualcosa di oscuro, che capiamo subito riguardare la misteriosa scuola di danza Markos Tanz Company, ambientazione principale della storia.
Di streghe pertanto, diversamente dal film di Argento, si parla subito e lo spettatore non dovrà certo scoprirlo in itinere; ciò che viene sviluppato nella sceneggiatura di David Kajganich (A bigger splash) è invece il potere rituale, arcaico, mistico e mortifero della danza, del tutto assente nel predecessore. Non c’è infatti un altro regista come Guadagnino capace di raccontare con altrettanta potenza la correlazione tra l’arte e lo spirito umano, come i due siano indissolubilmente legati e riescano ad influenzarsi a vicenda.
Ma è in generale la sfera tematica del film del ’77 a venire completamente rivoluzionata dal nuovo adattamento, arricchita di numerosi elementi che toccano la politica, il sesso, il corpo, il senso di colpa, il rimorso, la violenza di un passato (quello tedesco) che non si cancella.
Inoltre, mentre la Susie Bannion di Dario Argento è ingenua, fragile e del tutto impreparata ad affrontare le prove che le si presentano davanti; quella di Guadagnino, interpretata da Dakota Johnson, è predestinata dal primo istante a raccogliere i favori di Madame Blanc (Tilda Swinton), con cui instaurerà un legame sempre più intimo, che andrà ben al di là della danza. A tal proposito, rimane impressa la bellissima scena della prima esibizione di Susie dinanzi alla maestra, i cui movimenti infliggono colpi mortali al corpo di un’altra ballerina rinchiusa nella stanza affianco. Ma il ruolo della protagonista si fa col procedere della narrazione sempre più ambiguo e complesso, fino ad assumere caratteri inattesi che forse faranno storcere il naso ai più, ma rivelano anche una grande libertà narrativa e stilistica.
Il Dr. Klemperer (Lutz Ebersdorf) è invece uno studioso divorato dal senso di colpa per non aver salvato la moglie al tempo delle deportazioni naziste, e di cui non ha più avuto notizia: il film sviluppa, così, un parallelo tra quanto accade all’interno della Markos Tanz Company e quanto sta avvenendo all’esterno, tra gli orrori della vicenda narrata e quelli della Storia.
In un periodo in cui i remake e i reboot vanno per la maggiore, è coraggiosamente apprezzabile la scelta di Guadagnino di riscrivere da zero una storia celeberrima, sforzandosi ripetutamente di superarla e alzando la posta in gioco sequenza dopo sequenza.
Se è vero che 152 minuti sono davvero tanti e che diversi passaggi appesantiscono non poco la narrazione, Suspiria è un film che non può certo lasciare indifferenti e che non ha paura di giocare col cinema, utilizzando l’horror come mero pretesto per portare avanti i temi che da sempre interessano la poetica personalissima del suo autore. Una nota di merito va anche alle splendide e fondamentali musiche di un Thom Yorke malinconico e struggente. Al cinema dal 1° gennaio 2019 distribuito da Videa.
Alberto Leali