Presentato nella sezione Panorama Italia di Alice nella città, l’intensa opera prima della regista argentina Agustina Macri ci fa (ri)scoprire la vera storia di Soledad Rosas, icona del movimento anarchico. In sala dal 13 giugno 2019
Presentato ad Alice nella città nell’ambito della Festa del Cinema di Roma 2018, Soledad racconta la storia di Soledad Rosas, vera e propria icona del movimento anarchico. Dietro la macchina da presa, c’è Agustina Macri, figlia dell’attuale Presidente dell’Argentina Mauricio, che si è ispirata al romanzo Amore e anarchia del giornalista e scrittore Martìn Caparròs.
Arrestata nel ‘98, assieme al compagno Edoardo Massari (interpretato da Giulio Corso), con l’accusa di atti di terrorismo contro la costruzione della rete ferroviaria ad alta velocità in Val di Susa, Soledad (interpretata dalla notevole Vera Spinetta) muore suicida all’età di 24 anni, 11 giorni dopo la morte del suo compagno nel carcere torinese de Le Vallette. Nel 2002 la Corte di Cassazione lascia cadere l’accusa di sovversione e terrorismo per mancanza di prove.
Agustina, Soledad racconta una vicenda di cronaca che è stata a lungo oggetto dei media, eppure oggi quasi dimenticata. In che modo ne è venuta a conoscenza e come mai, a suo parere, questa discrepanza?
Ho conosciuto la storia di Soledad tramite il libro “Amore e anarchia” dell’argentino Martín Caparrós. In realtà anche in Argentina non è una vicenda molto conosciuta, un po’ perché si è svolta in Italia, un po’ a causa della riservatezza della famiglia di Soledad, che non ne ha mai parlato con la stampa argentina. In Italia credevo che la conoscessero di più e invece anche qui è piuttosto sconosciuta, tranne che a Torino, dove è ancora vivissima. Non so spiegare come mai sia stata dimenticata, anche se mi è capitato spesso di chiedermelo. A molte storie succede, nonostante siano state di grande rilevanza politica, sociale o cronachistica Si vede che doveva arrivare qualcuno a riparlarne.
Visto che si tratta di una storia che ancora brucia, si sono verificate polemiche o contestazioni da parte del movimento anarchico?
Sì, ci sono state molte contestazioni a Torino che mi hanno costretta a spostare il set a Genova, ma anche qui la situazione non è stata facile. Noi ci siamo mostrati sempre aperti al dialogo ma loro non sentivano ragioni, perché rifiutano di essere giudicati da fuori, pur non sapendo realmente cosa stanno criticando, non avendo visto il film. Io però credo fermamente nella libertà di espressione e che una storia come questa, proprio perché quasi sconosciuta in Italia, meritasse di essere raccontata.
Le performance degli attori sono davvero straordinarie. Come ha lavorato con loro?
Il lavoro con gli attori è stata la parte più bella ed emozionante del lavoro. È qualcosa a cui non ci si prepara, ma che si impara facendolo sul campo. Ho avuto la fortuna di servirmi di attori straordinari, con cui abbiamo avuto il coraggio di esplorare l’anima dei personaggi senza essere troppo attaccati alla sceneggiatura. Ci ha aiutato, in tal senso, il libro di Tobia Imperato “Le scarpe dei suicidi”, che ancor più di quello di Caparros contiene molte conversazioni fra gli anarchici, che ci permettono di comprendere bene i loro rapporti. Gli attori si sono calati così tanto nei personaggi che pareva quasi che io non ci fossi più. Li ho lasciati fare, di modo che seguissero i loro impulsi e le loro emozioni, che effettivamente non si possono scrivere in sceneggiatura.
La protagonista Vera Spinetta con la regista Agustina Macri
Ho apprezzato molto che il suo sguardo sulla vicenda di Soledad resti il più possibile imparziale, seppur appassionato…
Grazie! In effetti, ho voluto raccontare un’ingiustizia nel modo più puro possibile, così che lo spettatore avesse la libertà di farsi un’idea e di decidere da solo, senza essere condizionato dal mio giudizio.
Cosa ha imparato da questa sua opera prima?
È un lavoro che mi ha cambiato la vita e lo sguardo. Ha confermato il mio amore immenso per il cinema e, dopo la paura del primo film, ora ho voglia di farne tanti altri. Più che la tecnica, nel mio film conta il cuore; ed è bello vedere come un progetto in cui credi riesca a emozionare tutte le persone che ci hanno lavorato. Spero accada la stessa cosa col pubblico.
Ha già in mente dei nuovi progetti?
Sì, ho in mente un progetto più personale, ma non sono convinta di volerlo fare come secondo film. Mi piacerebbe prima fare da regia a una serie in Spagna o ancor più in Italia. Mi piace lavorare nel vostro Paese, mi fa sentire più libera artisticamente. Sicuramente non mi voglio fermare, anche se ammetto che dopo un film come Soledad non sarà facile trovare un progetto che mi coinvolga allo stesso modo.
Alberto Leali