Pietro Zinni (Edoardo Leo) e la sua banda di cervelli, dopo essere stati colti in flagranza di reato nel laboratorio di produzione del Sopox, sono stati rinchiusi in carcere. Zinni però non si arrende e da Regina Coeli cerca di far capire alle autorità che un pazzo ha sintetizzato il gas nervino ed è pronto a compiere una strage. Nessuno però lo prende sul serio, così non gli resta che farsi trasferire a Rebibbia per incontrare il Murena (Neri Marcorè), legato in passato allo stragista, e riunire la vecchia banda per sventare il piano criminale.
Si conclude con Smetto quando voglio – Ad honorem l’amata trilogia della banda dei ricercatori e, dopo la visione, già si avverte una certa nostalgia. Sydney Sibilia, infatti, ha il merito di averci regalato un prodotto a cui ci si affeziona subito, con un gruppo di personaggi irresistibile, una sceneggiatura inventiva e uno stile di regia accattivante.
Se il primo capitolo si aggira dalle parti della commedia all’italiana classica, attingendo però al mondo nerd della serialità televisiva, e se il secondo fonde il western e il poliziottesco col cinema action americano degli anni ’80 e ’90, il terzo capitolo è un prodotto ancora diverso ma più difficilmente classificabile. Possiamo dire, però, che dei tre è sicuramente quello al contempo più umano ed eroico.
Per capirlo, basta vedere il personaggio del Murena di Neri Marcoré, che da figura di contorno e appena abbozzata nel primo capitolo, diventa personaggio a tutto tondo nel terzo, che si sofferma, infatti, sulle sue origini e sulla sua umanità ferita. Basti vedere, soprattutto, il villain borderline Walter Mercurio di Luigi Lo Cascio, che ha un passato legato strettamente al Murena e che trasforma la disperazione in sete di vendetta. Malinconico, sofferto e mai sopra le righe, Lo Cascio rende realistico e credibile un personaggio decisamente rischioso.
Ma in Smetto quando voglio – Ad honorem assistiamo, come dicevamo, alla trasformazione della bizzarra e un po’ sfigata brigata di cervelli dei primi due capitoli in coraggiosa banda di supereroi, pronta a impedire ad ogni costo la distruzione dell’università La Sapienza, la stessa che li ha maltrattati ma a cui rimangono profondamente legati. Ne deriva un messaggio di speranza e un invito a tutelare i luoghi del sapere, gli uomini che con passione ci lavorano e i giovani che ci studiano, incerti sul loro futuro ma non per questo meno motivati.
Diverse sono le sequenze irresistibili, su tutte l’evasione dal carcere di Rebibbia (un gustoso mix tra Mission impossible, L’uomo che sapeva troppo, Prison Break e Fuga da Alcatraz, La grande fuga) è da applauso per ritmo e trovate comiche e vanta un lavoro con gli attori straordinario, in cui ognuno è importante e nessuno primeggia. Anche se non possiamo che adorare, più di tutti, un grandioso Stefano Fresi in versione Conte d’Almaviva nella spassosissima scena a teatro.
Se la fotografia è meno acida e le gag sono più ridotte rispetto ai precedenti capitoli, il ritmo svelto, il montaggio serrato, i collegamenti ingegnosi agli altri due film e le battute fulminanti sono gli stessi. Il risultato è che Smetto quando voglio – Ad honorem dimostra di raccogliere molto bene i frutti dei precedenti capitoli, manifestando un’identità definita e concludendo alla grande una delle saghe più innovative del cinema italiano moderno.
Alberto Leali