Due riscritture originali da Shakespeare a firma di Michele Santeramo e Fabrizio Sinisi, per la regia di Gabriele Russo e Andrea De Rosa
Dal 7 al 12 maggio in scena al Teatro Argentina due originali riscritture in chiave contemporanea dei capolavori shakespeariani, a firma di Michele Santeramo e Fabrizio Sinisi per la regia di Gabriele Russo e Andrea De Rosa: TITO e GIULIO CESARE.
Presentati in forma di dittico uno dopo l’altro in uno spettacolo unico, sono due atti di un’intensa, beffarda e innovativa riflessione sul dovere sociale e sulle conseguenze del potere, che prendono corpo sul palcoscenico attraverso un linguaggio moderno e di grande potenza.
Molti degli attori, inoltre, interpretano doppi ruoli, a rafforzare il gioco teatrale che lega il progetto in un nodo di riflessioni che dall’epoca shakespeariana arrivano fino ai giorni nostri.
Gli spettacoli sono nati nell’ambito del progetto Glob(e)al Shakespeare, per il Napoli Teatro Festival, ideato da Gabriele Russo e riconosciuto dall’Associazione Nazionale dei Critici con un Premio come “migliore progetto speciale” 2017.
In TITO, Michele Santeramo riscrive Tito Andronico smussandone il carattere epico e abbandonando il registro tragico a favore di quello drammatico, ironico, crudo, a tratti macabro.
Tito Andronico diventa, più semplicemente, Tito, un eroe stanco, provato dagli anni trascorsi a fare la guerra. E’ un padre di famiglia che ha dei figli immaturi e acerbi, oberato dal peso della responsabilità e afflitto da un cocente desiderio di normalità, tanto che ogni tanto va a rifugiarsi in un cantuccio del palco con un libro, una poltrona e un grammofono.
È proprio questa normalità desiderata che diventa la causa della tragedia, quando, sul finale, la vendetta cruenta diventa inevitabile: Tito – interpretato da Fabrizio Ferracane – deve vendicarsi, ma soltanto per obbedire alle assurde regole della società.
La messinscena di Gabriele Russo scommette su un raffinato gioco di ruoli degli attori, che saltano continuamente dal “dentro al “fuori” della storia, assottigliando il confine tra il piano della realtà e quello della finzione.
Si inizia dalla fine – dagli attori sul palco che ringraziano e salutano il pubblico – per poi addentrarsi nel gioco teatrale e tragico: è in questo modo, attraverso i dialoghi dei personaggi e gli interventi degli attori, sotto una corona appesa a un filo (quella contesa dai fratelli in lotta) che Santeramo e Russo rileggono Shakespeare per restituirci l’insensatezza della guerra e della violenza con un tono lieve, come di gioco, capace perfino di strapparci un sorriso.
Fabrizio Sinisi riscrive il GIULIO CESARE privilegiando l’aspetto politico e filosofico del testo shakespeariano originale, per il quale Andrea De Rosa realizza un allestimento dall’atmosfera metallica, decisamente contemporanea.
Il risultato di questo incontro è uno spettacolo asciutto, potente, che riesce a rimanere fedele al dramma Secentesco trasformandolo, al contempo, in una riflessione di stringente attualità.
Tre figure con gli anfibi ai piedi e le piastrine al petto, soldati di oggi, emergono sul palcoscenico dal buio delle botole a vista. Sono i congiurati, Bruto, Cassio e Casca, che davanti al pubblico, dopo aver ucciso Cesare, cercano le ragioni profonde del loro omicidio: un assassinio che sembra l’unico strumento necessario per liberare Roma dal tiranno.
Antonio, intanto, si chiede: «Chi o cosa può venire dopo Cesare?». In un’ambientazione notturna che rispetta l’atmosfera del testo originale rinnovandone il linguaggio scenico si svolge una delle storie più celebri di tutti i tempi, rivelando l’universalità e l’essenza umana dei temi su cui si interroga.