Ozpetek torna nella sua amata città d’origine Istanbul dopo 20 anni dal successo d’esordio Hamam- Il bagno turco. La vicenda, liberamente tratta da Rosso Istanbul , suo romanzo autobiografico scritto tre anni fa, narra, a sua volta, di un ritorno a casa, quello di Orhan Sahin, professione editor ma con un passato da scrittore di fiabe di successo, dopo 20 anni di assenza volontaria a causa di un terribile incidente che ha segnato per sempre la sua vita. Orhan deve aiutare il celebre e tormentato regista di cinema Deniz Soysal a terminare la scrittura di un libro che tratta della sua vita. Ma Orhan non sa che Deniz lo ha scelto non solo per i suoi meriti professionali, ma soprattutto perché ha in comune con lui più di quanto egli non immagini. Rosso Istanbul, diversamente dai consueti melodrammi ozpetekiani, ha l’andamento lento e sospeso di un giallo dell’anima, che vuol svelare pian piano i sentimenti e i ricordi rimossi dei suoi protagonisti. Orhan si sente, infatti, quasi uno straniero in una città che stenta a riconoscere, una Istanbul in continuo movimento e che cambia frettolosamente e incessantemente (le turbolenze sociopolitiche che invadono la città, rimangono, forse anche troppo, relegate a poche sequenze non proprio indimenticabili ). La capitale turca appare dominata dai grattacieli e dai palazzoni moderni che sorgono dal costante rumore delle trivelle: Ozpetek ce la mostra piu glamour che mai attraverso i panorami ammirati dalle ampie terrazze di case di lusso dell’alta borghesia. Catapultato nel mondo di Deniz e soprattutto dei suoi affetti, tra cui l’elegante madre Sureya, la bella restauratrice e amica del cuore Neval e l’autodistruttivo Yusuf, Orhan si ritroverà a riscoprire emozioni, sofferenze e sentimenti che ha tenuto nascosti dentro di sé troppo a lungo e che credeva morti per sempre. C’è tanto di Ozpetek in Rosso Istanbul, come affermato da lui stesso e come è possibile rintracciare nelle pagine del libro e nelle immagini del film: c’è la sua vera casa di Istanbul, che nella pellicola diventa l’abitazione di Neval, ci sono il ricordo vivido della madre (vedasi la scena in cui Deniz mette lo smalto alle unghie a Sureya o anche la dedica a inizio film), delle zie assetate di vita e della fedele domestica (interpretata dall’altrettanto fida Serra Yilmaz), c’è l’amore giovanile perduto e struggente, c’è il ritorno alla patria natia, ma anche la vita vissuta in Europa. E soprattutto c’è Istanbul, resa magnificamente dall’accuratissimo lavoro su suoni e immagini: la colonna sonora di ‘Rosso Istanbul’, infatti, oltre a musiche originali, contiene tutti i rumori che caratterizzano le brulicanti strade della metropoli turca, mentre ogni inquadratura racchiude in sé i due colori da sempre predominanti nella città, il blu e soprattutto il rosso del titolo (colore peraltro amato dalla madre del regista in un periodo molto particolare della sua vita e che associava al tipico cielo del luogo). Ma veniamo adesso agli aspetti del film che ci hanno convinti di meno. Pur essendo girato egregiamente e con la consueta cura di dettagli a cui il regista turco ci ha abituato, Rosso Istanbul non riesce purtroppo ad appassionare e ad emozionare lo spettatore, che perde presto interesse alla storia raccontata. Come scritto in precedenza, infatti, il ritmo del film è lento e sospeso, sembra (o più che altro si spera) che da un momento all’altro stia per succedere qualcosa, ma in realtà non scatta mai quel quid che ci faccia realmente legare ai percorsi emotivi dei personaggi, i quali rimangono, pertanto, sempre distanti, sfuggenti, impalpabili. Tranne Orhan, infatti, che è l’unico personaggio non presente nel romanzo d’origine, gli altri paiono mancare di un vero spessore che ci renda partecipi delle loro azioni e dei loro tormenti interiori, i quali finiscono, quindi, per essere più mostrati che realmente trasmessi, prigionieri di una struttura da giallo poco interessante e che, in effetti, non apparteneva affatto al libro. E’ come se l’emozione venisse frenata da un eccesso di freddezza e dalle troppe ellissi della sceneggiatura, che pare avere non pochi problemi a trasportare sullo schermo le pagine del romanzo: spesso, infatti, si ha l’impressione che alcune frasi pronunciate dai personaggi abbiano più senso come riflessioni sulla carta stampata che nel contesto del film, in cui invece suonano forzate, immotivate, troppo eloquenti o proclamate. Tutto ciò non fa che allontanarci dal cuore e dall’intimità dei personaggi, pur se interpretati benissimo da tutti gli attori turchi del cast. A lungo andare (il film sfiora le due ore), Rosso Istanbul stanca, ed è un vero peccato, perché da una vicenda che narra di dolori così profondi ci si sarebbe aspettati un’empatia maggiore, oltre che un più adeguato approfondimento delle psicologie. Rosso Istanbul, in sintesi, pur restando un melodramma nostalgico, delicato e formalmente pregevole, si dimentica presto, perché annoia troppo.
Alberto Leali