Ritorno in Borgogna, il nuovo lungometraggio scritto e diretto da Cédric Klapisch, racconta una storia famigliare di perdite e affetti ritrovati, in cui il vino, elemento distintivo della regione francese, rappresenta il mezzo per riappropriarsi del passato e dei ricordi.
Meursault, Borgogna. Tre fratelli, costretti, dopo la morte del padre (Éric Caravaca), a prendere il controllo dell’azienda vinicola di famiglia. Il primogenito, Jean (Pio Marmaï), da dieci anni lontano da casa per sfuggire all’autoritarismo paterno e per visitare il mondo, riscopre una realtà che sente inaspettatamente molto vicina: l’amore per quelle vigne e per quella terra che lo ha visto felice da bambino. Jean recupererà, con difficoltà, il rapporto d’amore con i fratelli Juliette (Ana Girardot), su cui è caduta tutta la responsabilità della preparazione dei vini, e il più giovane e insicuro Jérémie (François Civil).
Klapisch, per la prima volta con un film fuori dal contesto urbano, sfrutta la bellezza paesaggistica e cromatica della Borgogna, trasformando lo schermo in una abbagliante tela dipinta, che muta col mutare delle stagioni: Ritorno in Borgogna è infatti innanzitutto un film visivo, che incanta e rapisce, grazie allo straordinario talento del direttore della fotografia Alexis Kavyrchine. Un film in cui sembra di sentire gli odori e i sapori, grazie anche a riuscite sequenze di stampo documentaristico in cui vengono mostrate varie fasi della vendemmia, della lavorazione dell’uva e della cura dei vigneti.
La vicenda, ben scritta e molto attenta ai dettagli, alterna il presente con i flashback del passato, servendosi del punto di vista di Jean (un bravissimo Pio Marmaï) e modellando gradualmente, seguendo i ritmi naturali, una storia di legami, lontananze, rancori e ritorni.
Tutti i personaggi subiranno un’evoluzione, chiuderanno i conti col passato, ma al contempo riscopriranno il senso di appartenenza alla terra natia, ai valori semplici e campestri, agli affetti imprescindibili.
Roberto Puntato