Dal 16 febbraio al 28 aprile 2024
Parte da Roma il viaggio nel mondo di Rino Gaetano con la prima mostra dedicata al grande cantautore che ha segnato un’epoca nella musica italiana. Iconico poeta dallo stile unico e tagliente, con la sua voce ruvida e con i suoi testi apparentemente leggeri e disimpegnati ma pieni di contenuti, ha saputo graffiare società e politica senza mai nascondersi dietro etichette e maschere, riuscendo, attraverso pensieri anticonformisti e parole semplici, a portare alla luce gli anni bui della nostra nazione.
Il songwriter, calabrese di nascita ma romano d’adozione, verrà celebrato con la grande mostraRino Gaetano, che sarà ospitata a Roma dal 16 febbraio al 28 aprile 2024 al Museo di Roma in Trastevere, nel quartiere che amò e frequentò fin dai tempi del Folkstudio. Non a caso Rino ha vissuto a Roma, dove si è fatto le ossa nei palcoscenici off e nei teatri con l’ETI Ente Teatrale Italiano, dove ha imparato a evidenziare il messaggio con tutti gli strumenti del teatro.
La mostra, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, a cura di Alessandro Nicosia e Alessandro Gaetano è organizzata e realizzata da C.O.R. Creare Organizzare Realizzare, con il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura, sotto il patrocinio delMinistero della Cultura e di SIAE Società Italianadegli Autori ed Editori con la media partner di Raie la collaborazione di Rai Teche – che conserva la maggior parte dei filmati che riguardano l’artista – e Universal Music Publishing Group.
Un’esposizione inedita nata dalla ricerca di materiali, molti dei quali esposti per la prima volta, che documentano l’intero cammino artistico di Rino Gaetano, arricchita da ‘tante rarità’ di assoluto valore, concesse per l’occasione dalla sorella Anna: documenti, foto, cimeli artistici, la raccolta dei dischi, video, strumenti musicali, oggetti, abiti di scena come l’accappatoio indossato durante il Festivalbar all’Arena di Verona e la giacca in pelle utilizzata a Sanremo, manifesti e la collezione di cappelli.
Le sue canzoni, innovative e dal forte impegno civile, dopo la prematura scomparsa, sono state riscoperte e diventate veri e propri inni tra le nuove generazioni, usate in teatro, come colonne sonore di film, trasformate in fiction, compilation, street art e festival. La denuncia sociale celata dietro l’ironia delle sue beffarde filastrocche resta ancora attualissima, come la costante lotta contro i tabù, le mistificazioni, le ipocrisie e i conformismi. Non ha mai avuto bisogno di maestri, rappresentava lui stesso l’onda nuova di una corrente senza eguali. I testi dei suoi brani non vanno presi come racconti realistici, ma bisogna viverli come fossero immagini sorprendenti, idee, suggestioni, poesie che alimentano le due anime della sua ispirazione: quella anarchica e chiassosa e quella poetica e struggente, con momenti di felice fusione espressiva e di divertito abbandono. Tutto questo su musiche dagli impianti ritmici di ferro e arrangiamenti di insolita ricchezza e invenzioni, accompagnati da una vocalità moderna e aggressiva.
Nei suoi testi, fatti di sberleffi e di battute caustiche additava l’eterna crisi dell’Italia, quella delle auto blu e degli evasori legalizzati di Nuntereggae più con versi come “vedo tanta gente che nun c’ha l’acqua corrente, e non c’ha niente, ma chi me sente”. O ancora l’esaltazione della forza femminile di Gianna che “difendeva il suo salario dall’inflazione”, sino alla sua celebre Ma il cielo è sempre più blu, intrisa di luoghi comuni e di misfatti che i ‘benpensanti’ definiscono progresso, ai quali si contrappone l’indomabile speranza dei “sognatori” che vagheggiano “un cielo sempre più blu”. E poi ancora, ma la lista è lunga, Berta filava, Sfiorivano le viole, che con linguaggio desueto trattava i temi dell’emarginazione. La vetta creativa viene raggiunta con l’album Mio fratello è figlio unico che resta uno dei dischi più importanti non solo della carriera del cantante, ma in generale della musica italiana.
Fra il 1973 e il 1980 ha pubblicato sei album attraverso i quali ha dipinto con schiettezza un’Italia che ci assomiglia ancora, ma proprio a causa della sferzante lucidità nell’affrontare temi di stretta attualità, ha faticato tanto per farsi conoscere, affrontando i pregiudizi della critica, del pubblico, dei colleghi, dell’ambiente e anche dell’establishment che non vedeva di buon occhio quello strano personaggio che si divertiva a schernire tutti, potenti, politici, uomini di potere, facendo nomi e cognomi. Cantò Gianna e, per la prima volta nella storia del Festival di Sanremo, fu pronunciata la parola “sesso”; nel teatro sanremese, all’epoca, l’impressione fu di vedere un ‘marziano’, per la forza dissacrante di quella performance ispirata più a Carmelo Bene che ai codici della musica. Non tragga in inganno la popolarità immediata delle sue canzoni: c’è molta sapienza nell’uso del sarcasmo, del calembour, del nonsense, in quel particolare mezzo di comunicazione che è la canzone, sempre troppo disposta a prendersi sul serio anche quando si tratta di operetta.
La mostra sarà corredata dal catalogo edito da Gangemi Editore che contiene storia, immagini e un lungo elenco di straordinarie testimonianze che aiutano a comprendere tutte le sfaccettature di un uomo considerato uno dei cantastorie di culto della nostra storia. Un viaggio straordinario di memoria collettiva al ritmo delle note delle sue stralunate canzoni e dove la sua arte sarà più viva che mai.