Jen è una giovane americana che sogna una carriera a Los Angeles. Bella e provocante, trascorre un week-end con il suo amante Richard in una splendida villa nel deserto. Quando però arrivano Stan e Dimitri, due soci d’affari di Richard, la situazione in casa si fa tesa: la ragazza infatti suscita subito le attenzioni dei nuovi arrivati, fino a subire violenza da parte di Stan. Scossa e umiliata, Jen chiede aiuto al suo amante; Richard, però, preoccupato che la ragazza possa denunciare l’accaduto e rivelare tutto a sua moglie, cerca di risolvere la situazione con metodi violenti. Jen non è, però, disposta a rinunciare alla sua dignità e diventerà inaspettatamente il peggiore incubo dei suoi aguzzini.
Il rape and revenge, che ebbe il suo apice negli Stati Uniti degli anni’70 per poi diffondersi in molti altri Paesi tra cui l’Italia, è stato finora esclusivo appannaggio degli uomini; con Revenge, però, della francese Coralie Fargeat, il discusso sottogenere della exploitation porta per la prima volta la firma di una donna.
Revenge è infatti un piccolo caso cinematografico, che reinterpretando sapientemente gli archetipi del cinema di genere, è destinato a diventare un vero e proprio cult dell’era del girl power e del MeToo.
La sua riuscita si deve soprattutto al talento visivo della Fargeat, che riempie il film di immagini di ricercata e abbagliante bellezza, mescolando l’estetica patinata, il gore più sanguinario e l’immaginario fumettistico.
Immergendoci in un’atmosfera soffocante e minacciosa e giocando costantemente con i colori, specie quelli più accesi, su cui spinge la fotografia di Robrecht Heyvaert, la regista mette in scena un feroce gioco del gatto e del topo, in cui i ruoli si capovolgono e a fuggire non è più la vittima ma i suoi tre carnefici.
Le concitate sequenze d’azione e la tensione quasi insostenibile si accompagnano alla raffinata colonna sonora elettronica e a una carnalità che inizialmente segue il piacere ma alla fine incontra solo la morte.
Matilda Lutz, che da donna oggetto a cui la macchina da presa disegna sinuosamente le forme lolitesche si trasforma in angelo della vendetta ricoperto di sangue e armato di fucile, dà prova di essere un’attrice notevole, capace di rendere credibile la presa di coscienza del suo essere donna e il suo radicale mutamento interiore.
Non arretrando di fronte all’inverosimile e con uno spirito pulp degno del Tarantino di Kill Bill, Revenge assume le vesti di un potente manifesto femminista che spinge all’estremo gli stereotipi e un certo modo di rappresentare la donna al cinema, per poi ribaltarli completamente.
Giocando con le metafore (il tronco che penetra la carne di Jen portandola a nuova vita) e i contrasti (i colori saturi del giorno e il buio delle sequenze notturne, la location desertica e inospitale e la villa lussuosa e asettica), Revenge racconta la vendetta femminile contro il potere fallocratico, attraverso l’impietosa rappresentazione di un sistema fasullo, ipocrita e violento, in cui gli uomini sono egoisti e codardi e le donne sono costrette a lottare, come delle supereroine dei fumetti, contro la loro volontà di sopraffazione.
Per chi ha lo stomaco debole, non è forse la visione più consigliata, ma per tutti gli altri è un film di imperdibile e appagante divertimento che ha stile da vendere.
Alberto Leali