Primo lungometraggio di finzione del documentarista Renzo Carbonera, Resina prende spunto dalle vicende reali del Coro Polifonico di Ruda, che sotto la guida della musicista Fabiana Noro, ha saputo, in tempi recenti, reinventarsi divenendo uno dei migliori cori maschili al mondo. Ed è proprio il Coro di Ruda ad eseguire le musiche di questo piccolo ed intimo film, che racconta un ritorno alle origini, una riunione e una rinascita.
Ambientato in un tranquillo e isolato paesino di montagna, Resina ha per protagonista la giovane violoncellista Maria (Maria Roveran), che vi fa ritorno dopo l’improvvisa e misteriosa morte del fratello. Ospite a casa della cognata, rimasta sola col figlioletto e oppressa dalle rate bancarie, Maria si prenderà cura della madre, da poco dimessa da una clinica psichiatrica e chiusa nel mutismo. Nel frattempo, la ragazza conosce Quirino (Thierry Toscan), che tiene in piedi, con grande dedizione ma pochi risultati, un coro polifonico affidato a pochi elementi. L’uomo sogna di portare il coro a un concorso canoro, così chiede aiuto a Maria, che dopo le prime resistenze, accetta la sfida, dando gradualmente uno scossone alla sua vita.
In una piccola comunità montana, in cui tutti si conoscono ma vivono scollegati e isolati, il coro del paese, che ha sempre svolto la funzione di collante sociale, ha smarrito l’entusiasmo e la passione che muoveva i suoi membri, ora immersi nell’alcool, nei problemi della vita e in una noia mortifera.
Tutti i personaggi del film condividono, infatti, uno stato di stallo emotivo ed esistenziale, che si nutre dell’isolamento e della disillusione: tutti hanno perso l’abitudine a stare insieme, ad affrontare uniti le difficoltà e ad avere fiducia nella capacità di sentire del prossimo. Non sappiamo quasi nulla del loro passato, riusciamo a coglierne appena qualche elemento da fugaci conversazioni telefoniche o da qualche chiacchiera al bar del paese; tutto è giocato sugli sguardi malinconici, sulle emozioni soffocate, sugli assordanti silenzi e sui dolori rinchiusi.
Così come Maria fatica a ritrovare il suo spazio in un ambito professionale che l’ha delusa e in uno familiare afflitto da drammi intimi e materiali, così i membri del coro di Quirino hanno perso la voglia di condividere la loro comune passione per la musica. E’ però proprio attraverso la ritualità del raccoglimento e la faticosa riconquista di quell’afflato comunitario smarrito che si può tentare di tornare a guardare al futuro e a riappropriarsi della vita e degli affetti.
L’arrivo di quella giovane in crisi con se stessa e segnata dal dolore e il suo sostegno al coro dell’ancora fiducioso Quirino divengono, così, il mezzo per ritrovare l’unione perduta e riaprirsi al futuro. Resina racconta, infatti, il coraggio di darsi ancora una possibilità, di non cedere allo sconforto e di farsi forza, insieme, per ricominciare a sperare.
Si potrebbe obiettare che la psicologia dei personaggi non venga fuori a sufficienza, ma ciò che interessa a Carbonera è descrivere lo stato d’isolamento che accomuna la piccola comunità e il suo habitat, mostrandone gradualmente il superamento. Gli splendidi ed ampi paesaggi con i loro ritmi placidi, i suoni leggeri e i colori cangianti costituiscono, così, elementi cardine della narrazione. E la Luserna immersa nelle montagne, in cui sembra che il tempo si sia fermato, silente custode della più antica forma di lingua germanica parlata (il cimbro) e fragile creatura soggetta allo spauracchio del cambiamento climatico, è a tutti gli effetti una delle protagoniste del film. La profonda attenzione al paesaggio si rileva anche nella scelta di applicare il protocollo T-Green della Trentino Film Commission per la riduzione dell’impatto ambientale durante le riprese.
Resina è un film squisitamente d’autore che verrà apprezzato più dagli amanti del cinema da festival che da quelli avvezzi a prodotti più agili e dinamici. Un cinema minimalista, ambizioso e di grande cura formale, che non ha paura di azzardare soluzioni stilistiche impopolari, per raccontare la parabola di un’umanità che trova il coraggio di non cedere al solipsismo.
Alberto Leali