In scena dal 20 al 23 febbraio
Dopo il successo dello spettacolo La lotta al terrore, andato in scena per 62 repliche in 50 città italiane, Lucia Franchi e Luca Ricci con la compagnia CapoTrave continuano a esplorare l’universo sociale e politico contemporaneo, firmando un nuovo lavoro: Piccola Patria, in scena al Teatro Argot Studio di Roma, dal 20 al 23 febbraio, con Simone Faloppa, Gabriele Paolocà e Gioia Salvatori, interpreti della pièce.
Ambientata nel nostro presente, in una cittadina di provincia non specificata, dove si sta per svolgere un referendum che decreterà l’eventuale autonomia dall’Italia, la vicenda di Piccola Patria si sviluppa su tre giorni: il giorno antecedente, il giorno stesso e quello successivo al voto.
Il vorticoso climax di tensione innescato dall’imminente scelta politica fa emergere le contraddizioni individuali, familiari e sociali, che si palesano nella relazione tra i tre protagonisti. Quando si rompe qualcosa, altre lacerazioni si vengono a creare incidentalmente, e ogni rottura ne porta altre, sia nei rapporti tra le persone, sia interni alle persone stesse.
Lucia Franchi e Luca Ricci firmano uno spettacolo dalle tinte cupe che riflette su uno dei fenomeni del nostro tempo: la frammentazione in piccole patrie e l’incapacità della politica di comprendere le reali necessità dei cittadini.
Nella stesura drammaturgica di Piccola Patria gli autori si sono ispirati alla vicenda storica della Repubblica di Cospaia, situata tra la Toscana e l’Umbria: un lembo di terra lungo 2 km e largo 500 metri che fu Repubblica indipendente dal 1440 al 1826, a causa di un errore di tracciamento dei confini da parte dei geografi della Repubblica di Firenze e dello Stato Pontificio. Per anni quella striscia di terra, che non doveva pagare tasse a nessuno, senza esercito, né carceri, ha conservato uno spirito indipendentista pieno di velleità e diffidenze verso l’esterno.
Note di drammaturgia di Lucia Franchi e Luca Ricci
Ci siamo chiesti più volte durante la scrittura perché avessimo deciso di raccontare questa storia, attraverso questi i tre personaggi di Caterina, Corrado e Lorenzo. Non volevamo prendere parte per nessuno di loro. Li capiamo tutti e tre, e li rispettiamo, anche se non condividiamo le scelte di nessuno dei tre. Non avremmo però votato “sì” a questo referendum, ma diamo il beneficio del dubbio a Corrado, come lo diamo a ogni politico che ci governa, anche se non l’abbiamo votato, fino a prova contraria. Capiamo bene Caterina che è stufa di tutto questo, che ha provato a ritornare, sentendosi però “isolata” e lontana, ma le sue ragioni non sono solo nobili, e non contribuirà a migliorare il suo paese. Lorenzo era un violento, e questo non lo possiamo approvare: mandare a fuoco una scuola è illecito, anche nella più veemente delle battaglie. In lui rivediamo, perché gliel’abbiamo data, la nostra rabbia, la nostra frustrazione nel vedere affermarsi un pensiero dominante in cui non ci riconosciamo; da lì nasce il suo restare in silenzio, ammutolito, mentre nessuna alternativa prende voce. Così pare che tutti siamo d’accordo con Corrado, oppure ritorniamo alle nostre isole, come Caterina, o non sappiamo che altro proporre, come Lorenzo. Davvero finisce così?