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A distanza di cinquant’anni esatti dal capolavoro di Fassbinder, Le lacrime amare di Petra von Kant, François Ozon porta sul grande schermo il suo personalissimo adattamento, tramutando le tre indimenticabili protagoniste in personaggi maschili.
Colonia, 1972. Peter Von Kant (Denis Ménochet), regista di successo, vive con il suo assistente Karl (Stefan Crépon), che maltratta ed umilia. Tramite un’amica, la famosa attrice Sidonie (Isabelle Adjani), incontra e si innamora di Amir (Khalil Gharbia), un giovane ragazzo di origine nordafricana, che aiuterà a sfondare nel mondo del cinema. Quando Amir decide di interrompere la loro relazione per tornare con la sua ex moglie, Peter cade in una profonda disperazione.
Peter von Kant è una minuziosa operazione di omaggio a Fassbinder, in parte di “adorazione”, in parte di decostruzione.
Un film che si trova a cavallo della sensibilità di entrambi i registi, Ozon e Fassbinder, ma che non per questo perde in autenticità ed ironia.
Facendo del protagonista un regista d’autore, Ozon collega immediatamente il personaggio con lo stesso Fassbinder, tirando fuori, in maniera ancor più evidente, gli elementi autobiografici comunque presenti nell’opera d’origine.
I tre personaggi centrali femminili dell’originale – la stilista di successo Petra, la sua assistente di lunga data Marlene e la fidanzata modella di Petra, Karin – sono sostituiti da uomini. A mantenere gli stessi nomi e lo stesso sesso dei personaggi sono la figlia di Peter, Gabrielle (Aminthe Audiard), che è stata mandata in un collegio svizzero ma che fa la sua apparizione nel terzo atto, e Sidonie (Isabelle Adjani), che risulta, invece, ancor più machiavellica e crudele dell’originale.
La musa e collaboratrice assidua di Fassbinder, Hanna Schygulla – Karin in Petra von Kant – interpreta qui il ruolo della madre di Peter, Rosemarie, apportando più calore e tenerezza al rapporto materno.
Mancando l’intensità claustrofobica dell’originale di Fassbinder e la visceralità delle passioni che solo il regista tedesco riusciva a mettere in scena, Ozon non può che porsi in una posizione consapevolmente distanziata e voyeuristica.
Peter Von Kant è comunque un tributo commovente, con interpretazioni molto forti e riuscite; un’opera intrisa di tenerezza, masochismo e disgusto, che è forse proprio quello che sarebbe piaciuto a Fassbinder.
Federica Rizzo