Mentre Aldo Serena sbaglia il rigore che costa agli azzurri la sconfitta contro l’Argentina nella semifinale di Italia 90, un’auto vola giù da un ponte e precipita nel Tevere. All’interno viene ritrovato il corpo di un noto produttore cinematografico che poche ore prima aveva trascorso la serata con i tre giovani finalisti del Premio Solinas di quell’anno, che vengono, quindi, convocati al comando dei carabinieri. Cosa sarà successo?
Notti magiche, film di chiusura della Festa del Cinema di Roma 2018, segna il ritorno, tutto italiano, di Paolo Virzì dopo l’esperienza americana e on the road di Ella & John.
Il titolo, che ovviamente richiama il ritornello della celebre canzone di Nannini e Bennato, non lascia dubbi in merito al periodo analizzato; gli interrogativi sorgono, semmai, in riferimento a cosa il regista livornese abbia voluto raccontare in questo affresco ricchissimo e variopinto.
Che cos’è infatti Notti magiche? Il resoconto dei ricordi del giovane Virzì giunto nella Capitale per inseguire il suo sogno? Un omaggio all’ultima stagione gloriosa del cinema italiano? Un’analisi graffiante dei vezzi e delle contraddizioni del nostro cinema e al contempo una dolorosa riflessione sulla sua morte?
Come aveva fatto Sorrentino ne La grande bellezza, anche Virzì descrive il suo rapporto di odi et amo con una Roma bellissima, caotica e dalle mille facce, ma la sua attenzione è tutta concentrata sul cinema e sulla variegata umanità che lo popola.
I ritratti di Notti magiche, eccessivi e caricaturali, seppur spesso riconoscibili nei grandi nomi della storia del nostro cinema, manifestano un approccio affettuoso e al contempo malinconico e irriverente. Grandi maestri, attori viziosi, produttori truffaldini, autori caduti in disgrazia, giovani scrittori che battono incessantemente sulle macchine da scrivere per sfornare sceneggiature firmate da qualcun altro, chiassose cene in osteria e feste licenziose con politici e soubrette: Notti magiche è un amarcord febbrile ed ondivago che nasconde dietro al grottesco e al sarcasmo, un senso amaro di disillusione.
L’esile trama gialla segue, infatti, a ritroso le peripezie di tre giovani sceneggiatori in cerca di un posto al sole (un esuberante ragazzo di Piombino figlio di operai e già padre, un messinese secchione che parla come un libro stampato e un’inquieta borghese romana che detesta il padre e idolatra un attore francese che la deluderà), che si troveranno a scontrarsi con una realtà professionale ben diversa da quella che sognavano.
La celebre abilità di Virzì di gestire all’interno di un unico racconto una molteplicità di toni ed emozioni e di tratteggiare personaggi incredibilmente vivi nella loro umanità, appare qui decisamente sottotono, affaticata dal peso degli omaggi e dell’autobiografismo e dal desiderio di costruire un affresco felliniano (o scoliano) con personaggi che indugiano troppo sul loro essere stereotipi.
Tutto appare sopra le righe, goffo, sovraccarico, seppur sia evidente l’amore che ha animato i tre sceneggiatori, Virzì, Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, nella rievocazione di un’epoca ormai perduta e irripetibile.
Pur se Notti magiche, nel suo complesso, non riesce come il suo autore avrebbe voluto, noi a Virzì vogliamo bene lo stesso e speriamo che alla prossima torni a fare quel cinema che lo ha reso uno dei grandi autori della nostra commedia. Al cinema dall’8 novembre distribuito con 01 Distribution.
Alberto Leali