Applaudito al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard e in anteprima nazionale ai Rendez-Vous di Roma, arriva al cinema dal 16 maggio
L’opera prima di Delphine Deloget, Niente da perdere, con protagonista una straordinaria Virginie Efira, arriverà nelle nostre sale dal 16 maggio con Wanted Cinema.
In anteprima nazionale a Roma, nell’ambito del Festival del nuovo cinema francese Rendez-Vous, abbiamo incontrato Deloget ed Efira, che ci hanno raccontato la genesi e le aspirazioni di questo film.
“Sono, in realtà, partita da un tema un po’ più ampio rispetto a quello del conferimento dell’affido di un minore – racconta Deloget – Volevo raccontare come si vive la separazione in un nucleo familiare, che si lega a come si ama all’interno di una famiglia. Via via mi sono poi concentrata su cosa succede quando una famiglia salta in aria”
L’attrice Virginie Efira, che interpreta una madre che si ritrova all’improvviso, a causa di un’incidente domestico, a perdere l’affido del figlio minore, racconta di aver attinto ad una particolare immagine del cinema.
“Una cosa che mi piace molto sono i film che una regista ti indica prima di iniziare un lavoro, non per copiare o emulare qualcosa, ma per prendere le emozioni che un determinato film ti trasmette. Nel caso di Delphine, mi ha chiesto di vedere “Qualcuno volò sul nido di un cuculo”. Ricordo in particolare una scena in cui Jack Nicholson tiene le mani nelle tasche, per frenarsi e non andare in una direzione che non gli consentirebbe più di fermarsi. È una scena che simboleggia molto bene quello che ci si aspetta da noi donne nella nostra società, dal mondo del lavoro all’essere madri e, a partire da quella visione, ho riflettuto su una serie di situazioni, anche personali, o su quello che ci viene insegnato da piccoli, che magari offre idee preconcette, che ci infilano in buchi da cui è difficile uscire. A questa base importante si mescola, poi, la disponibilità che ciascun attore ha sul set di lasciarsi andare e offrire se stesso”.
Nonostante possa risultare per molti aspetti controverso, l’attrice condivide la definizione di “madre esemplare” per il suo personaggio.
“Sylvie a mio parere lo è, perché capace di stare in ascolto dei suoi figli, tracciando anche dei binari, prendendo in se stessa la forza e il coraggio, nonostante sia sola. Questa, però, non è un’opinione condivisa da tutti; con mia grande sorpresa, gli uomini spesso comprendono l’intervento dei servizi sociali in una situazione simile, e invece mi piace molto come Delphine abbia deciso di rendere Sylvie totalmente priva di sensi di colpa per lo stile di vita che conduce. Si rimbocca le maniche, cerca di fare del suo meglio, e ovviamente questo è in contrasto con l’immagine sociale ricorrente della madre pura e devota. Non appena c’è una piccolissima mancanza da parte sua, si apre una faglia ed ecco che intervengono i servizi sociali”.
Niente da perdere è un’opera dallo stile molto realistico che sicuramente attinge dal mondo del documentario, quello che la regista ha esplorato fino a questo momento:
“Ho fatto molto documentari – afferma Deloget – e il mio riferimento costante alla realtà mi è sicuramente servito per cercare di ottenere il massimo della giustezza nel raccontare il dramma di Sylvie. Nonostante non abbia adottato un approccio documentaristico per questo film, ho avuto molte conversazioni telefoniche con donne e famiglie che si sono trovate nella stessa situazione della protagonista. Ho voluto, quindi, realizzare un’opera di finzione basata però su un principio di realtà!”
La Efira, che ha raccontato molte madri al cinema, spiega di non scegliere mai un ruolo, bensì un film che la coinvolga.
“Non si sceglie mai un ruolo, si sceglie un film. Io non conoscevo Delphine, ma quando ho letto la sceneggiatura mi è apparso chiaro il suo sguardo su questa storia: piena di contraddizioni e basata non sul puro realismo sociale, come accade a molto cinema francese. Nel suo disegno di questa “eroina”, ho colto un dato in più, che ha a che vedere con certo cinema britannico e con un certo senso dell’umorismo. In questa storia c’era davvero del cinema e uno sguardo registico che permetteva a chi interpreta di incarnare il personaggio”.
E conclude: “Non credo ci sia un solo modo di essere madre o di essere donna, ciascuna di noi è fatta di tantissimi aspetti. È un soggetto immenso che può essere esplorato da tantissimi punti di vista, ed è quello che mi stimola in questi ruoli, fondamentali ma difficili. Mi piacerebbe interpretare una donna che ha delle patologie, che magari beve o che fa del male ai propri figli, perché appunto non c’è un unico modo di essere madre, di essere donna. Per esempio, alla mia età, è anche normale riflettere se la maternità sia veramente così fondamentale per la realizzazione di una donna, perché non è detto sia così; quello che mi piace è la prospettiva non codificata”.
Federica Rizzo