Figlia di due fisici di fama mondiale, Meg (Storm Reid) è un’adolescente con problemi di autostima, che fatica ad integrarsi con i suoi coetanei. Alla base delle sue insicurezze c’è l’inaspettata scomparsa del padre (Chris Pine) che da quattro anni ha abbandonato misteriosamente la sua famiglia senza lasciare tracce. Charles Wallace (Deric McCabe), però, bambino prodigio e fratellino di Meg, riuscirà a convincere la sorella a mettersi alla ricerca del genitore e a fidarsi di tre eccentriche guide: la signora Quale (Oprah Winfrey), Cosè (Reese Witherspoon) e Chi (Mindy Kaling). Insieme a loro e al compagno di scuola di Meg, Calvin (Levi Miller), che è l’unico ad apprezzarla davvero, i due fratelli partiranno per una formidabile impresa, oltre i confini dell’universo e dell’immaginazione, per cercare di salvare lo scienziato, tenuto prigioniero da un pericoloso nemico. Meg sarà costretta, così, a guardare dentro di sé e ad accettare i suoi difetti, per trovare la forza necessaria di portare a compimento l’impresa.
Anche alla Casa dei Sogni capita a volte di compiere un passo falso: è ciò che accade con Nelle pieghe del tempo, tratto dal romanzo omonimo del 1963 scritto da Madeleine L’Engle, sceneggiato e adattato per il grande schermo da Jennifer Lee, con la regia di Ava DuVernay (Selma – La strada per la libertà).
Si tratta di un progetto ad altissimo budget diretto da una donna afro-americana e con un cast quasi esclusivamente black, che include i giovanissimi Storm Reid e Deric McCabe, a cui sono affidati i ruoli dei protagonisti, accanto a volti familiari ed amati dal pubblico come Oprah Winfrey, Reese Witherspoon e Chris Pine.
Nelle pieghe del tempo, diversamente da altre pellicole della Disney, pare indirizzata esclusivamente al pubblico dei bambini e dei ragazzi, che ne apprezzeranno certamente lo sfarzo visivo, i colori sgargianti e gli abbondanti effetti speciali in CGI. Per gli adulti, invece, a parte la sensazione di trovarsi di fronte a una sorta di La storia infinita versione new age, il film potrebbe risultare troppo noioso e didascalico.
Se, infatti, dal punto di vista tecnico non c’è nulla da eccepire, ciò che non convince in Nelle pieghe del tempo è la sceneggiatura, che mette in scena una trasposizione sommaria, raffazzonata e spesso confusa del bestseller della L’Engle, sprecando il cast a disposizione e la possibilità di raccontare efficacemente un coming of age in versione fantasy.
Nelle pieghe del tempo si presenta, infatti, come un grande calderone di temi, luoghi, personaggi e suggestioni, che non riescono a fondersi in modo narrativamente coinvolgente, appoggiandosi più sul dispendio di effetti speciali che sulla volontà di indagare lo spirito, ben più profondo, del romanzo.
Così, tra smancerie, melensaggini e situazioni viste e riviste, chi ne risente sono soprattutto i personaggi, descritti in maniera poco approfondita e, per questo, affatto empatici. Le tre Signore, in particolare, si rivelano maschere prive di consistenza, che anziché affascinare, come dovrebbero, finiscono per risultare ridicole e irritanti: si preferisce, infatti, puntare tutto sui loro coloratissimi costumi, sulle pettinature stravaganti e sul trucco pesante, sprecando, di conseguenza, il talento dimostrato altrove delle tre attrici.
Le tematiche portanti del romanzo, poi, sono così eccessivamente semplificate da risultare banali e stereotipate, non rendendo purtroppo giustizia alla variegata complessità del mondo di Madeleine L’Engle.
Ne deriva che Ava DuVernay non ha, forse, l’esperienza necessaria per trasformare uno dei capisaldi della letteratura per ragazzi in un film grandioso e memorabile, capace di armonizzare il lato fantastico con la forza dei messaggi: evidentemente, il passaggio dal cinema indipendente al blockbuster milionario non le ha giovato, pur se l’operazione, in tutta onestà, non era delle più semplici.
Alberto Leali