Sandra (Katrina Bowden), ex popstar in viaggio verso Los Angeles all’interno di un suv nero dotato di ogni comfort e di un’intelligenza artificiale molto evoluta e concepito per garantire la massima sicurezza di chi si trova al suo interno, si ritrova estromessa dal veicolo sotto il sole del deserto dello Utah. Al suo interno rimane intrappolato il figlioletto di due anni, David. La donna, inizialmente presa dalla disperazione, farà di tutto per liberare il piccolo da quella trappola asettica e invalicabile.
Primo film co-prodotto dalla Sergio Bonelli Editore, basato su un soggetto di Roberto Recchioni, Monolith segue l’arrivo nelle librerie della graphic novel omonima in due parti sceneggiata da Mauro Uzzeo e disegnata da Lorenzo Ceccotti, che in questo film è stato anche il curatore del progetto del veicolo in ogni suo aspetto. Alla regia c’è il giovane Ivan Silvestrini, che avevamo già apprezzato per il piccolo e sperimentale 2night, e che mette nuovamente al centro del suo cinema un’automobile, ma costruendo stavolta un incubo sotto il sole cocente del deserto dello Utah.
Due soli personaggi in scena, la giovane Sandra, assalita dall’insicurezza di un tradimento da parte di un compagno per cui ha cambiato totalmente la sua vita, e il suo piccolo David, con qualche problema respiratorio e che ancora non riesce a chiamarla “mamma”.
Gli ingredienti di Monolith sono basilari: l’istinto di sopravvivenza, la necessità di proteggere la prole, la lotta contro il tempo e le avversità del deserto, il rapporto con una supertecnologia prodotta dall’uomo, che si rivela in realtà lesiva dei suoi stessi bisogni.
D’altronde, è proprio questa volontà di ridurre gli elementi narrativi all’essenziale la scommessa più rischiosa di Monolith, ma possiamo senza dubbio dire che l’esperimento è in buona parte riuscito, nonostante un finale un po’ troppo action e qualche inserto onirico non proprio essenziale.
Silvestrini non vuole raccontare l’insensatezza o la superiorità delle intelligenze artificiali, ma semmai dimostrare come sia chi le utilizza il responsabile dei loro errori: ne deriva un film sull’incomprensione, ancora insanabile, tra intelletto umano e artificiale. Ma non solo: Monolith si sofferma anche sulla psicologia di Sandra, facendo emergere da questo viaggio/incubo le paure di una giovane donna, madre forse troppo presto e ancora inesperta, lasciata sola da un marito poco presente e probabilmente fedifrago.
Dal punto di vista tecnico-formale, Monolith è una macchina calibratissima e studiatissima, sia nella scrittura che nella forma, capace di mantenere vivo l’elemento ansiogeno per tutta la (breve) durata del film. Così, l’automobile inespugnabile e bruciante a causa del sole, il bimbo legato al sedile posteriore con un caldissimo costume da orso, il cellulare chiuso all’interno dell’autoveicolo, il cagnaccio affamato e rabbioso e l’assenza totale di anima umana rendono Monolith un survival movie efficace e coinvolgente, che, sulla scia di lavori come Open Water (2003) o Frozen (2010), trasmette un senso di impotenza tangibile e frustrante.
Una produzione interessante, audace e coraggiosa nel contesto italiano: un b-movie che si apre ad un’ibridazione tra l’universo dei comics e quello del cinema, di cui probabilmente sentiremo sempre più spesso parlare.
Roberto Puntato