Si è molto parlato di Midsommar – Il villaggio dei dannati, il nuovo film di Ari Aster che ha conquistato il Jordan Peele di Scappa e Us, definendolo “atrocemente disturbante”.
In realtà, che Aster fosse un regista da tenere d’occhio, lo si era già capito con il suo film d’esordio, il potente Hereditary – Le Radici del Male. Molte delle tematiche di quel film sono presenti anche in Midsommar, ma qui la posta in gioco è più alta e la narrazione ancora più stratificata.
Si parte in entrambi dal dramma familiare, per poi sfociare gradualmente in un vero e proprio incubo onirico-esoterico: se, però, Hereditary si appoggiava al possession movie, Midsommar approccia il folk-horror, guardando direttamente al capolavoro britannico The Wicker Man (1973).
Dani e Christian (Florence Pugh e Jack Reinor) sono una coppia in crisi che insieme ad altri due amici, Mark (Will Poulter), Josh (William Jackson Harper) e Pelle (Vilhem Blomgren), vola in Svezia per trascorrere le vacanze estive. Il programma è passare due settimane ad Harga, un villaggio rurale dalle antiche tradizioni e immerso nella natura, dove è cresciuto Pelle. Solo dopo aver assistito ai bizzarri e inquietanti rituali messi in pratica in quel luogo, i turisti capiscono di essere finiti in un incubo senza via d’uscita.
Elaborazione del lutto, dipendenza affettiva, religione, incomunicabilità sono solo alcuni dei tanti temi trattati da Aster, che anche stavolta trascende i limiti del genere per raccontare il lato oscuro dell’animo umano e riflettere sulle nuove frontiere dell’horror.
Per buona parte della sua durata, infatti, Midsommar oscilla tra grottesco, simbolismo ed elementi comedy, evidenziando il suo carattere gustosamente contaminato; tutto ciò a cui assistiamo sullo schermo, inoltre, avviene sotto la luce del sole, sfatando così uno dei topos più abusati del cinema horror e trasmettendo un’idea visiva che tende sin dal principio ad estraniare lo spettatore.
L’inquietudine e il terrore si materializzano en plein air, tra i colori sgargianti dei fiori e la verdeggiante natura svedese; mentre la serenità e l’armonia che sembrano regnare su Harga nascondono in realtà un’ascetica brutalità.
Emerge forte, così, il contrasto tra la comunità salda e unita nella condivisione e gli ospiti divisi dalla fragilità dei loro rapporti (in primis Dani e Christian legati in modo forzato e venefico).
La regia, poi, è un altro punto di forza del film: long take, immagini che si deformano, inquadrature speculari e studiate al millimetro ci immergono in un incubo senza fine, in cui nessuno è più padrone del proprio destino.
Così come fece con Toni Colette in Hereditary, anche qui Aster esaspera la recitazione di Florence Pugh, esaltandone con molti primi piani la mimica facciale, lo smarrimento e la disperazione. E’ attraverso i suoi occhi che seguiamo le tappe di un inquietante ma catartico processo iniziatico, che porta all’accettazione di sé e del proprio dolore.
Possiamo dire, quindi, che Midsommar consacra definitivamente Ari Aster nel golgota del cinema horror? Assolutamente sì!
Al cinema dal 25 agosto distribuito da Eagle Pictures.
Alberto Leali