Al cinema dal 16 giugno distribuito da Academy Two e prossimamente su MUBI
Jessica (Tilda Swinton) è una botanica che si trova a Bogotà per far visita alla sorella malata. Una notte viene svegliata da un boato sordo che inizia poi a presentarsi anche durante il giorno, ma che solo lei è in grado di captare. Di questa presenza invasiva e disorientante, Jessica si sforza in tutti i modi di trovare l’origine. Nel suo percorso verso la scoperta, si servirà dell’aiuto del tecnico del suono Hernàn, incontrerà l’archeologa Agnes, a capo di uno scavo che ha riportato alla luce alcuni resti umani risalenti a 6000 anni prima, e un pescatore che vive nel cuore della foresta amazzonica lontano dalla civiltà.
E’ un viaggio sensoriale alla ricerca dell’anima il bellissimo Memoria del thailandese Apichatpong Weerasethakul (Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti), vincitore del Premio della Giuria a Cannes 2021.
Un film difficile, ermetico e non privo di autoreferenzialità, eppure di suadente potenza grazie alla bellezza ipnotica delle immagini, che risalta attraverso i dilatati longtake e le riprese a camera fissa.
Memoria è la storia di una donna che si scopre punto di congiunzione tra presente, passato e futuro, in grado di captare i segnali provenienti da altre dimensioni temporali, che manifestano un mondo invisibile eppure interconnesso.
Mescolando audacemente reale e soprannaturale, Memoria è un’opera sul subconscio e sui fantasmi che riemergono, ma anche sulle interconnessioni fra gli esseri, secondo una visione filosofica panteistica, circolare e ritornante.
Perché, nei lavori di Apichatpong Weerasethakul, ognuno di noi è portatore di un frammento di storia che non ha significato nel suo isolamento, ma acquista valore solo all’interno di una visione organica del reale, nell’esperienza del contatto e del ricongiungimento con l’altro. La memoria del titolo, infatti, nasce proprio nel momento in cui qualcuno è disposto a raccogliere e ad accogliere la nostra storia.
Quello di Apichatpong Weerasethakul è un cinema onirico ed evocativo e per questo necessariamente divisivo. Un cinema che richiede allo spettatore lo sforzo di abbandonarsi alle emozioni, di accarezzare una realtà culturale e spirituale diversissima dalla nostra, in cui la morte è onnipresente, ma come uno dei tanti stadi della vita, privo, quindi, di una dimensione definitiva.
Tilda Swinton, come prevedibile, si conferma attrice di rara sensibilità, alle prese con un ruolo in bilico tra concretezza ed evanescenza, in cui peraltro alterna la lingua inglese a quella spagnola.
Piaccia o meno, Memoria non lascia indifferenti: ostico, autoriale, lontanissimo dai gusti del pubblico mainstream, è un film che non ha paura di rischiare, sperimentare, spiazzare.
Ilaria Berlingeri