L’artista svizzero presenta Pixel-Collage, monumentale serie di 121 opere realizzate tra il 2015 e il 2017
Un’imponente parete viola alta 6 metri e lunga oltre 250 attraversa la Galleria 3 del MAXXI, tra angoli e bruschi cambi di direzione taglia gli spazi sinuosi del museo progettato da Zaha Hadid, imprigiona la vista e disorienta lo sguardo: è The Purple Line, la lunga linea ideata da Thomas Hirschhorn, uno degli artisti più noti e importanti al mondo, per presentare Pixel-Collage, monumentale serie di 121 opere realizzate tra il 2015 e il 2017.
Al MAXXI sono esposti, per la prima volta nella quasi totalità, 118 di questi collage provenienti da 21 tra prestigiose collezioni private internazionali, istituzioni e gallerie.
La mostra Thomas Hirschhorn. The Purple Line, a cura di Hou Hanru e Luigia Lonardelli, sarà aperta dal 20 ottobre 2021 al 6 marzo 2022.
Pixel-Collage
«Ho sempre amato fare i collage. Amo mettere insieme cose che non dovrebbero stare insieme».
In queste opere, tra le più discusse che si possano fruire, immagini di corpi mutilati in zone di guerra, violente istantanee di stragi e conflitti raccolte sul web, sono accostate con la tecnica del collage a fotografie pubblicitarie di moda provenienti da riviste patinate.
Queste ultime sono però pixellate, mentre le foto di corpi dilaniati sono visibili, senza filtri, spesso anche in grandi formati.
Si inverte così ciò che abitualmente succede nella realtà, negli organi di informazione, nella rete e nei social network: le immagini pubblicitarie pensate per catturare l’attenzione sono nascoste alla vista, mentre ciò che normalmente viene oscurato e coperto perché considerato disturbante, è svelato dall’artista in tutta la sua cruda verità.
Il Pixel diventa lo strumento che connette e crea legami tra le cose, tra bellezza e crudeltà, accorcia la distanza tra due realtà apparentemente opposte eppure contemporanee del mondo in cui viviamo, un’epoca ricca di contraddizioni, «caotica, complessa, crudele, incommensurabile, bellissima».
«Voglio esprimere la complessità e le contraddizioni del mondo in un singolo collage. Voglio esprimere il mondo in cui vivo, non il mondo intero come un tutt’uno, ma come mondo frammentato. I miei collage sono un impegno verso l’universalità del mondo. Sono contro il particolarismo, contro l’informazione, contro la comunicazione, contro i fatti e contro le opinioni ».
Ipersensibilità e censura
Scrive Hirschhorn: «Mettere o rimuovere ogni pixel – o addirittura scomporlo in pixel più piccoli – è una decisione. È una decisione politica».
La violenza dei soggetti rappresentati nella serie Pixel-Collage sembrerebbe a prima vista il tema centrale e predominante di quest’opera, che invece parla di censura, produzione e controllo delle immagini e, soprattutto, di un concetto espresso più volte dall’artista: il dilagare dell’ipersensibilità nel mondo contemporaneo.
Hirschhorn distingue tra la sensibilità di uno sguardo che rimane vigile e cosciente di ciò che ha intorno senza negarlo e l’ipersensibilità, che invece è autoprotezione, intorpidimento, esclusione dell’altro e che porta spesso alla censura.
Se l’uso dei pixel è pensato per proteggere chi guarda, l’artista rifiuta ogni tipo di intervento protettivo, se ciò che non ha forma, che è offuscato e invisibile, non consente di provare empatia, Thomas Hirschhorn ricerca la verità, la visibilità.
«Oggi, nei giornali, nelle riviste e in televisione non capita spesso di vedere immagini di corpi umani distrutti, perché è molto raro che vengano mostrate. Queste immagini sono non visibili e invisibili; si presuppone che possano urtare la sensibilità dello spettatore, oppure soddisfare il suo voyeurismo, dunque il pretesto è di proteggerci da questa minaccia. Ma l’invisibilità non è innocente. L’invisibilità è una strategia per supportare, o quantomeno non scoraggiare, lo sforzo bellico. Per rendere la guerra accettabile e i suoi effetti valutabili. […] Guardare immagini di corpi umani distrutti è un modo per schierarsi contro la guerra e contro la sua giustificazione e propaganda».
The Purple Line
La linea del muro su cui sono esposte le opere al MAXXI, disegnata appositamente dall’artista, costringe chi attraversa lo spazio a confrontarsi con i propri limiti, a sfidare il massimo che la vista e le sensazioni possano sostenere, a mantenere viva l’attenzione.
Il continuo cambiamento di direzione rende impossibile prevedere dove finirà il percorso, che sembra interminabile, le immagini raggiungono gli occhi dello spettatore senza preavviso, la capacità di selezione è annullata, così come la possibilità di essere protetti.
L’espressione “The Purple Line” rimanda alla teoria dei colori: si riferisce infatti a un punto preciso, al confine fra lo spettro dei rossi e quello del violetto, che corrisponde alla massima saturazione di questi due colori, in cui l’intensità della luce si presenta in un una singola lunghezza d’onda. Si ottiene quello che viene chiamato il «colore puro»: nitido e al contempo fastidioso da guardare, attraente e respingente, disturbante fino al limite estremo della sua percezione.
Se la reazione naturale è distogliere lo sguardo dalla morte, dal sangue, dalla paura, il viola costringe a non distrarci, ad affrontare ciò che ci spaventa, a riportare gli occhi sui collage, a osservare la realtà e a comprenderne le contraddizioni.
«Oggi, più che mai, ho bisogno di vedere con i miei occhi il nostro mondo e nessuno può dirmi cosa i miei occhi devono vedere e cosa no».