Tratto dal romanzo del 1971, La piccola scopa di Mary Stewart, Mary e il fiore della strega è l’opera prima del neonato Studio Ponoc, fondato nel 2015 da due eredi dello Studio Ghibli, il produttore Yoshiaki Nishimura e il regista Hiromasa Yonebayashi (Arrietty, Quando c’era Marnie), che cercano di raccoglierne l’eredità.
Impresa non facile, ma certamente preziosa, visto che la chiusura del luogo dove nasceva la magia delle opere di Miyazaki & Co. è stata sicuramente un duro colpo per l’animazione giapponese e per i suoi numerosi estimatori.
Mary e il fiore della strega manifesta sin da subito somiglianze per stile e tematiche ai film dello studio Ghibli. Al centro della storia, una ragazzina imbranata e dai capelli rossi, costretta a trascorrere una settimana nella villa dell’anziana prozia prima che cominci la scuola. Annoiata e senza amici, Mary scoprirà nella foresta vicino alla villa un fiore rarissimo chiamato volo notturno, che conferisce momentaneamente i poteri magici di una vera strega. Finirà, così, a cavallo di una scopa, e in compagnia del gattino nero Tib e del fattorino Peter, in una bizzarra università della magia in stile Hogwarts, in cui si effettuano strani esperimenti metamorfici. Inizialmente apprezzata proprio per i suoi “difetti”, Mary si accorgerà che quel luogo nasconde dei piani sinistri.
Mary e il fiore della strega, al cinema dal 14 al 20 giugno con Lucky Red, è una fiaba classica e godibile, dedicata soprattutto al pubblico più giovane, che verrà catapultato in un mondo magico, colorato e popolato da personaggi stravaganti.
La fluidità delle coreografie animate, l’accuratezza del disegno e la vibrante ricerca cromatica risultano all’altezza degli insigni predecessori del Ghibli, così come la lettura ecologista della vicenda (la critica alla scienza che vuole piegare la natura ai suoi fini) e il percorso di maturazione della protagonista. In quest’ultimo caso, semplice ma importante è la morale del film: bisogna affrontare la vita col coraggio di essere noi stessi, apprezzando ciò che ci rende diversi dagli altri, senza ritenerci inferiori.
Il ricorso al digitale non inficia la grazia visiva del film, che può definirsi un mix tra Kiki- Consegne a domicilio e La città incantata, con sprazzi di Alice nel Paese delle Meraviglie ed Harry Potter.
Manca la complessità del discorso filosofico ed esistenziale di Miyazaki, così come un’identità propria che lo renda autonomo da inevitabili paragoni con i suoi predecessori, ma nel complesso si tratta di un ottimo film d’animazione, che coinvolge, intenerisce ed illumina gli occhi.
Lo Studio Ponoc dimostra di essere sulla giusta strada per proseguire la grande tradizione dell’animazione giapponese: siamo pertanto curiosi di scoprirne il prosieguo.
Alberto Leali