Martin Freeman ha incontrato i suoi fan alla ventitreesima edizione di Romics, la rassegna internazionale su fumetto, animazione, cinema e games della capitale. L’attore britannico verrà premiato col Romics d’oro, per la prima volta assegnato a un attore
Romics 2018 celebra l’attore britannico Martin Freeman, che ha incontrato ieri i suoi numerosissimi fan al Pala Romics, dove ha parlato della sua carriera artistica, delle sue passioni e dei suoi progetti futuri.
Freeman, che sarà insignito del Romics d’oro, premio per la prima volta attribuito a un attore, è entrato nell’immaginario collettivo dell’ultima generazione, grazie ai suoi ruoli in Guida galattica per autostoppisti, Sherlock, Lo Hobbit, Captain America: Civil War e Black Panther.
“Non mi piace incasellarmi in generi filmici specifici – afferma l’attore -. Preferisco essere coinvolto in belle storie e in belle sceneggiature. E’ stato un caso, infatti, aver interpretato ruoli dotati di una precedente vita letteraria. Non nego, però, che lavorare a sceneggiature tratte da libri è molto bello, perché infonde più ricchezza all’attore che deve interpretarli“.
La carriera di Martin Freeman inizia a teatro, per poi sbarcare con successo in televisione e infine al cinema, dove raggiunge la notorietà col ruolo di Arthur Dent in Guida galattica per autostoppisti, film del 2005 diretto da Garth Jennings, ispirato alla celebre serie per la radio di Douglas Adams.
“Ho iniziato a 15 anni in teatro, in un gruppo di giovani appassionati che si riunivano ogni settimana per provare e condividere esperienze – racconta Freeman-. Il mio mentore di allora, per 5 anni mi ha insegnato tutto ciò che serviva a stare su un palcoscenico. Cosicché, quando qualche tempo dopo, ho frequentato una vera scuola di recitazione, avevo già una grande esperienza.
Guida galattica per autostoppisti è un’opera fortemente radicata nella cultura britannica; avevo circa 8/9 anni quando nei primi anni ’80 ho visto la serie tv tratta dai racconti di Adams. Nel 2003 fui avvicinato dal regista Garth Jennings, a cui piacevo molto, per il ruolo di Arthur Dent, che in effetti anch’io sentivo molto vicino a me. Non sono mai stato un fanatico della serie e probabilmente è stato un bene, perché ho vissuto il ruolo con il giusto distacco e senza pressione o timore riverenziale“.
Un successo ancora più grande giunge con Sherlock, serie televisiva britannica liberamente tratta dalle opere di Arthur Conan Doyle e creata da Steven Moffat e Mark Gatiss. Qui Martin interpreta John Watson, un reduce della guerra in Afghanistan alla ricerca del suo posto nella società, che si ritrova a dividere l’appartamento con l’eccentrico Sherlock Holmes, interpretato da Benedict Cumberbatch.
“Sono molto legato al personaggio di Watson – dice Freeman – in particolare alla scena in cui è messo di fronte al dolore per la morte del suo migliore amico. Watson non è infatti abituato ad esprimere pubblicamente le proprie emozioni, ma in quella scena emerge finalmente tutto ciò che ha dentro“.
Il ruolo di Bilbo Baggins nei tre adattamenti del romanzo fantasy di J. R. R. Tolkien Lo Hobbit vale a Freeman un ennesimo enorme successo. “Per il mio ruolo in Lo Hobbit devo molto al regista Peter Jackson – afferma – che da subito mi ha indicato la giusta chiave di lettura del personaggio. Bilbo infatti è un po’ uomo, un po’ animale, ma di quelli che stanno in basso nella catena alimentare e che devono stare continuamente all’erta perché qualcuno da un momento all’altro potrebbe mangiarseli“.
Il 19 aprile Martin sarà in sala con Ghost Stories, thriller soprannaturale di Jeremy Dyson e Andy Nyman, su uno scettico conduttore televisivo alle prese con sedicenti sensitivi e misteri irrisolti.
“Ghost Stories mescola spavento e ironia in una formula molto british – dice l’attore -. Mi piace molto quando la commedia convive con la tragedia: spesso mi capita, ad esempio, di piangere davanti a I Simpson o di ridere per I Soprano. I film di spavento mi piacciono, anche se devo ammettere che sono un po’ fifone, forse per colpa del primo film di paura che ho visto a 10 anni per insistenza di mia madre, ovvero Psycho di Hitchocock. Evidentemente ero un po’ troppo piccolo!
E’ certo, comunque, che quando un film mi fa davvero paura devo fermarmi e rilassarmi un attimo, per poi riprendere la visione. Penso però che questi film aiutino a capire le proprie paure e a volte persino a venirne fuori, quasi come fossero una terapia“.
Non ci resta, dunque, che attendere Martin sul grande schermo in questa nuova e promettente avventura; o magari nuovamente in Italia, visto che, come lui stesso ha affermato, è sicuramente il suo Paese preferito. E non solo per la pizza!
Alberto Leali