Accade tutto in una notte di pioggia battente, in un luogo indistinto, forse un bar, un ristorante, una sala da ballo. O forse solo un luogo della mente, di uno o di più personaggi (otto in tutto in scena), che lì sembrano incontrarsi spesso. I protagonisti in scena, mariti, mogli, amici, amanti, conoscenti, si ritrovano intrappolati in quello stesso luogo a condividere le stesse insoddisfazioni borghesi.
Tutto comincia con l’annuncio del divorzio di una delle due coppie in scena, che scatena reazioni imprevedibili in tutti gli altri presenti: l’altra coppia inizia a tentennare e a far emergere paure e frustrazioni; gli altri personaggi poco a poco intrecciano le loro storie a quelle delle coppie, creando una spirale di relazioni, desideri, tradimenti, insofferenze. Ogni tanto, la narrazione si interrompe, tra interventi brechtiani (i personaggi si rivolgono al pubblico, raccontando pezzi delle loro storie, a volte spiegando, altre confessandosi, altre giustificandosi) e balli liberatori.
E la musica jazz cala subito lo spettatore nel mondo di Woody Allen: perché questo Mariti e mogli, in scena al Teatro Quirino di Roma dal 5 al 17 dicembre, è proprio la riscrittura teatrale del film che Allen scrisse prima della fine della sua relazione con Mia Farrow, in seguito allo scandalo legato alla figlia adottiva Soon-Yi Previn, divenuta in seguito sua moglie.
Un’opera che analizza impietosamente il disfacimento dei rapporti coniugali, le ipocrisie borghesi, la crisi di mezz’età, la sconfitta dei desideri e la condanna a una perenne insoddisfazione. Un docu-dramma di meschinità e passioni spente, che Monica Guerritore (ri)scrive, dirige e interpreta con grandi incisività e acume.
Oltre alla differente ambientazione, anche la chiave stilistica scelta dall’autrice è un’altra rispetto a quella di Allen, concentrandosi, nonostante la fedeltà al testo d’origine, più su una farsa dai risvolti comici che sul sarcasmo e sul cinismo. Il testo non perde un briciolo di amarezza o durezza, anzi viene esaltato da una messa in scena raffinata e dinamica, carica ma mai sovraccarica, che alterna flashback, confessioni, sogni, realtà, intermezzi danzanti. In un atto unico, della durata di circa due ore, assistiamo contemporaneamente a una girandola di sentimenti in collisione, a una seduta psicanalitica, al disvelamento della natura più oscura dell’animo umano.
Oltre a una bravissima Guerritore, ottime sono le interpretazioni di tutti gli altri attori, a cominciare da una Francesca Reggiani convincente e perfettamente in parte, seguita dagli intensi Ferdinando Maddaloni e Cristian Giammarini nel ruolo dei fragili e insicuri mariti. Riusciti anche l’allestimento scenico di Giovanni Licheri e Alida Cappellini e l’uso delle luci di Paolo Meglio.
Alberto Leali