Scritto e diretto da Davide Sacco, lo spettacolo va in scena dal 30 novembre all’11 dicembre
Dal 30 novembre all’11 dicembre, al Teatro Ambra Jovinelli, Lino Guanciale e Francesco Montanari sono gli straordinari interpreti de L’uomo più crudele del mondo, scritto e diretto da Davide Sacco.
Lino Guanciale veste i panni di Paolo Veres, un imprenditore schivo e senza scrupoli, proprietario della più grande industria di armi d’Europa. Seduto di fronte a lui Francesco Montanari, qui giovane giornalista di una testata locale scelto per intervistarlo. La chiacchierata si trasformerà ben presto in una riflessione sul senso della giustizia e della morale, nonché sul significato della parola umanità.
SINOSSI
Una stanza spoglia, in un capannone abbandonato. I rumori della fabbrica fuori e il silen– zio totale all’interno.
Paul Veres è seduto alla sua scrivania, è l’uomo più crudele del mondo, o almeno questa è la considerazione che la gente ha di lui. Proprietario della più importante azienda di armi d’Europa, ha fama di uomo schivo e riservato. Davanti a lui un giovane giornalista di una testata locale è stato scelto per inter- vistarlo, ma la chiacchierata prende subito una strana piega.
“Lei crede ancora che si possa andare avanti dopo questa notte… lei crede che questa vita domani mattina sarà la stessa che viveva prima?” dirà Veres al giornalista.
In un susseguirsi di serrati dialoghi emerge- ranno le personalità dei due personaggi e il loro passato, fino a un finale che ribalterà ogni prospettiva.
NOTE DI REGIA
Fino a dove può spingersi la crudeltà dell’uomo? Qual è il limite che separa una brava persona da un bestia? A cosa possiamo arrivare se lasciamo prevalere l’istinto sulla ragione?
Queste domande mi hanno guidato durante la stesura del testo e, successivamente, nella direzione degli attori. Volevamo che il pubblico fosse costantemente destabilizzato e non avesse certezze, che si calasse insieme ai personaggi in un viaggio in cui il rapporto tra vittima e carnefice è di volta in volta messo in discussione e ribaltato.
La “feccia” di cui parlano i protagonisti non è visibile nella scena, fatta essenzialmente di luci fredde e asettiche, ma deve emergere gradualmente fino al finale, in cui speriamo che il titolo dello spettacolo possa diventare nella testa degli spettatori non più un’affermazione ma una domanda per riflettere sulla natura del genere umano.