Ben e Rose sono due bambini sordi che vivono in epoche diverse, il primo nel 1977, la seconda nel 1927. Ben ha da poco perso la madre ed è alla ricerca del padre che non ha mai conosciuto, Rose ha una famiglia che non la soddisfa e sogna una misteriosa attrice del muto di cui raccoglie foto e notizie nel suo album. Quando Ben scopre in casa il vecchio catalogo di una mostra sulle origini dei musei e Rose, a sua volta, legge un invitante titolo sul giornale, i due ragazzi partono per New York alla ricerca di quello che hanno perso.
Dopo la felice trasposizione di Hugo Cabret firmata Scorsese, tocca al cinefilo e talentuoso Todd Haynes occuparsi di un’altra opera grafico-letteraria di Brian Selznick, La stanza delle meraviglie. Anche in questo caso, il risultato può dirsi pienamente riuscito, grazie alla perfetta amalgama fra l’universo immaginifico e sensibile di Selznick, che firma anche la sceneggiatura, e l’abilità registica dell’autore di Carol e Lontano dal Paradiso.
Come in Hugo Cabret, al centro del racconto vi è una storia di crescita, quella di due ragazzini segnati dalla perdita (che è affettiva prima ancora che fisica) alla ricerca del loro posto nel mondo. Prima, però, dovranno fare i conti con le proprie radici, riconciliarsi con il proprio passato ed imparare ad affrontare il mondo senza più paura.
Haynes divide la struttura del film in due sezioni narrative separate dal punto di vista spazio temporale, ma che confluiscono nel medesimo luogo, una New York che seduce e tradisce. La stanza delle meraviglie diviene, così, un suggestivo viaggio sensoriale nella storia di una città, ricostruita in bianco e nero e senza sonoro nella prima parte (attraverso l’escamotage del cinema muto), e a colori e con la musica tipica degli anni ’70 nella seconda. Con grande abilità, il regista consente allo spettatore di acquisire il punto di vista e soprattutto le percezioni di Ben e Rose, a cui le giovani promesse Oakes Fegley e Millicent Simmonds donano sensibilità e vigore.
Il Museo di Storia Naturale di New York, poi, riveste qui la stessa funzione che aveva il cinema in Hugo Cabret: quella di collante fra esseri umani, nonché depositario della memoria della cultura. Ed il cinema è anche al centro di La stanza delle meraviglie, che è al contempo un sofisticato percorso alla ricerca della magia delle origini e una delicata favola sul potere evocativo delle immagini.
La sorprendente fusione di suoni ed immagini rende La stanza delle meraviglie un vero e proprio miracolo visivo (straordinaria la fotografia di Ed Lachman) e sensoriale, confermando Todd Haynes come esteta colto e raffinatissimo, libero e multiforme. Certamente meno emozionante di altri lavori (mélo) del regista statunitense, La stanza delle meraviglie è comunque un’opera di altissimo valore artistico.
Alberto Leali