Vincitore del Leone d’Oro a Venezia 81, arriverà nelle sale italiane dal 5 dicembre con Warner Bros. Pictures
Adattamento del romanzo di Sigrid Nunez,“What Are You Going Through“, The room next door, il nuovo film di Pedro Almodóvar, vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, è il primo lungometraggio in lingua inglese del regista, che sceglie per l’occasione due grandi attrici come Julianne Moore (una new entry nella sua filmografia) e Tilda Swinton (che aveva già lavorato con lui nel cortometraggio The Human Voice).
Ambientato negli Stati Uniti, il film inizia in una libreria dove l’autrice Ingrid (Julianne Moore) sta firmando copie del suo nuovo lavoro, una riflessione sulla morte. Dopo aver saputo che la sua vecchia amica, la reporter di guerra Martha (Tilda Swinton), è malata terminale, Ingrid le fa visita in ospedale e le due donne rinnovano vecchi legami. E in questo loro ritrovarsi che Martha chiederà ad Ingrid di aiutarla ad affrontare la sua morte imminente: vuole, cioè, che Ingrid sia lì, letteralmente nella stanza accanto.
The Room Next Door è chiaramente un film di Almodóvar in termini di personaggi – presenta forti eroine femminili –, nell’uso sorprendente del colore – con una forte presenza di rossi e verdi brillanti – e nella vibrante colonna sonora melodrammatica di Alberto Iglesias.
Tuttavia, è l’opera meno almodovariana nella sua essenza più profonda. Forse la causa è da ricercare nei temi trattati – l’eutanasia e la liberazione dalla paura della morte – che allontanano, almeno emozionalmente, il regista dai suoi lavori passati. O forse nella lingua utilizzata: l’inglese risulta più freddo rispetto alle opere in lingua spagnola. Certo è che il film sembra stranamente incompleto.
Almodóvar è amato per i suoi personaggi indimenticabili e le sue magnifiche protagoniste, ma questo film, nonostante il duo superbamente abbinato di Tilda Swinton e Julianne Moore, entrambe in forma autorevole e commovente, non riesce ad essere empatico e completamente riuscito.
Persistono, comunque, una certa meticolosità formale e visiva, tipica del regista, e l’affezione per alcuni temi che fanno da fil rouge a tutta la sua filmografia.
Federica Rizzo