Evento speciale al cinema dal 20 al 22 febbraio con Vision Distribution
Due amici, con un passato musicale in comune, rompono il loro sodalizio professionale e trascorrono un lungo periodo di silenzio. Un giorno, però, Antonio (Dimartino) ricontatta Lorenzo (Colapesce) per un nuovo e misterioso progetto che stavolta non c’entra con la musica. I due si troveranno, così, coinvolti in una spericolata avventura piena di colpi di scena, che li porterà a fare i conti con se stessi e con il loro passato.
L’esordio cinematografico di Colapesce e Dimartino è un road movie atipico e surreale, in cui è facile trovare i segni di quella musica “leggerissima” che li ha incoronati come uno dei duo più originali e interessanti del panorama italiano.
Freschi del successo del loro ultimo singolo al festival di Sanremo, che ha conquistato il premio della critica e che ascoltiamo sui titoli di coda, Colapesce e Dimartino interpretano e co-scrivono (con Michele Astori e il regista Zavvo Nicolosi) un film che ha come tema centrale l’amicizia e i sacrifici che essa comporta: quella che un giorno può anche incrinarsi ma ma mai spezzarsi, portando persino a una seconda fioritura.
Tra i molti meriti de La primavera della mia vita c’è quello di non affidarsi a un semplice collage di sketch, grazie a una sceneggiatura ben costruita che riesce a preservare l’approccio ironico e malinconico alla vita che il duo mette nelle loro canzoni. In più, il film è dotato di quell’incoscienza e di quella libertà, proprie di alcune valide opere prime, che lo rendono un prodotto fresco e accattivante.
L’ambientazione scelta è la Sicilia assolata e bellissima da cui il duo proviene, fonte di ispirazione, ma anche di cambiamento. Non a caso, il film è ricco di riferimenti alla mitologia greca e a leggende bizzarre e affascinanti, frutto di una terra unica nel suo genere, dove facilmente attecchisce il pensiero magico.
Si mescolano, così, Le metamorfosi, il cinema di Jodorowsky, il dramma, la commedia, il folk horror alla Midsommar, gli scenari esistenzialisti di Wenders.
L’estetica, insomma, è ricchissima, mentre per toni non si può che pensare al cinema di John Landis, al surrealismo quotidiano di Kaurismaki e alle commedie malinconiche di Troisi, a cominciare da Non ci resta che piangere.
Nonostante le numerose contaminazioni, però, il film riesce a mantenere un approccio inedito e personale, che lo distingue dalla maggior parte dei prodotti del nostro attuale panorama cinematografico.
Ovviamente le musiche (3 canzoni e per il resto strumentali) sono firmate dal duo e si sposano perfettamente alle immagini messe in scena.
Tanti i gustosi camei di amici e colleghi, come Madame, Brunori Sas e Roberto Vecchioni.
Alberto Leali