“La mia famiglia a soqquadro” è la seconda regia di Max Nardari, che allarga per temi e durata un suo cortometraggio di diversi anni fa dal titolo ‘Il regalo più bello’.
Il risultato è una commedia semplice, gradevole e garbata, che ha il suo maggiore punto di forza in un cast ben assortito. C’è infatti il padre goffo e bonaccione di un Marco Cocci in veste inedita, la mamma prima premurosa e castigata e poi aggressiva e rock’n’roll di Bianca Nappi, l’indipendente, eccentrica e modernissima nonna attrice di Eleonora Giorgi, il temibile direttore di banca di Ninni Bruschetta e l’emarginato con tanta voglia di omologazione del giovanissimo Gabriele Caprio.
Martino vive in una famiglia felice, con una mamma e un papà che si amano proprio come il primo giorno. Una vera rarità, di cui il ragazzino si renderà conto iniziando a frequentare l’esclusiva scuola media privata in cui i genitori, con non pochi sacrifici, lo hanno iscritto. I suoi compagni, infatti, sono tutti figli viziatissimi di genitori separati, che si contendono il loro affetto con regali e viaggi di gran classe. Martino si sente un pesce fuor d’acqua e vive drammaticamente la sua condizione di diversità, attribuendone la colpa a quei genitori così ‘sfigati’. L’unica cosa da fare è trovare qualsiasi modo per spingerli a divorziare, magari approfittando della fortuita apparizione di un’ex-spasimante del papà. Ma le cose non andranno esattamente come si immagina.
Una commedia dei buoni sentimenti, nonostante si sviluppi a partire da un assunto ‘politically incorrect’ quale la demolizione dell’immagine ‘alla Mulino Bianco’ della famiglia tradizionale, che afferma con forza la necessità di recuperare i valori fondamentali dell’amore e dell’unione familiare.
Fino a qui assolutamente nulla di nuovo, eppure c’è un aspetto che incuriosisce non poco in “La mia famiglia a soqquadro”, ed è la sua collocazione spaziale in un luogo che non viene né precisato né risulta riconoscibile da una parlata tipica dei suoi abitanti.
Pur essendo ambientato e girato a Terni, infatti, il film mostra bambini che vanno in una scuola dove si indossa la divisa, dove nessuno parla nessun tipo di dialetto e dove non ci sono riferimenti a costumi o tradizioni.
La scelta della sceneggiatura è infatti quella di rendere il film un prodotto facilmente esportabile, non ancorandolo ad una realtà regionale o provinciale ben precisa, ma semmai procedendo per situazioni generali, o meglio universali, facilmente riconoscibili da qualsiasi tipo di pubblico, nazionale e straniero.
Ed in effetti non è difficile trovare similitudini tra questo film e classici della commedia per famiglie un po’ cattivella, stile ‘Mamma ho perso l’aereo’ o ‘Piccola peste’, soprattutto nelle fantasiose, e non sempre credibili, trovate di Martino per far scoppiare la coppia.
E se l’intento era quello di creare un film commerciale per famiglie italiane, ma che allo stesso tempo piacesse anche all’estero, il regista ci è pienamente riuscito, perché “La mia famiglia a soqquadro” è stata selezionata tra ben 800 film per concorrere allo Skip City International D-Cinema Festival in Giappone e ad Hollywood i produttori americani parlano già della possibilità di un remake.
Un risultato niente male per un film leggero, divertente e non banale, nonostante alcuni passaggi narrativi non proprio convincenti e un prefinale melenso in cui tutti i nodi vengono al pettine e i vari personaggi si riconciliano.
In sintesi, una classica commedia di equivoci ed incomprensioni, ma giocata ironicamente sul paradosso, che riesce a toccare anche temi importanti e spinosi senza però mai fare denuncia o risultare troppo retorica.
Alberto Leali