Ancora un Ben Affleck factotum (regista, protagonista e produttore) ne ‘La legge della notte’, sua ultima fatica dopo l’Oscar per il miglior film vinto con ‘Argo’. Tratto dal romanzo del talentoso Dennis Lehane e arricchito da un cast all stars, ‘La legge della notte’ è ambientato negli anni ’20 durante il proibizionismo e narra la storia di Joe Coughlin, figlio di un ufficiale della polizia di Boston, ma fuorilegge per scelta, in una città invasa dagli scontri fra mafia italiana e mafia irlandese. Dopo essersi innamorato della pupa di un boss irlandese che gliela farà pagare cara, Joe accetta di contrabbandare rum per la mafia italiana a Tampa (Florida), nella speranza di potersi un giorno vendicare; qui si innamorerà di una ragazza locale e sognerà una vita alla luce del sole. Ma non sarà facile.
Rendendo smaccatamente omaggio ai film di gangsters classici dagli anni ’30 agli anni ’70, Affleck realizza un’opera che è insieme gangster movie, dramma, film sentimentale, noir, thriller, giallo, action: una magmatica miscela di generi e di temi (criminalità, rapporto padre/figlio, amore, vendetta, ambizione, desiderio di riscatto, religione…) che non sempre però appare ben assortita. L’impressione è che ci sia troppa carne a cuocere e che si perda spesso la bussola, tra eventi che accadono e mutano troppo velocemente e personaggi bloccati negli stereotipati canoni del genere. D’altronde ciò che Affleck racconta in questo film è ormai (stra)conosciuto e iconizzato e certo difficile gli risulta apportare qualcosa di realmente innovativo. La sensazione di deja vu, pertanto, è parecchio forte, con l’aggravante che Affleck non ha certo la raffinatezza e la profondità di un Martin Scorsese o di un Michael Mann o di un Sergio Leone. Il suo appare, quindi, un film di genere senza infamia né lode che si lascia guardare piacevolmente, nonostante superi le due ore, ma che non fa altro che riproporre vecchi cliché senza mai ergersi a qualcosa di più, come forse era invece nelle ambizioni del suo autore. È apprezzabile comunque come Affleck cerchi di perseguire una sua vena autoriale che lo porta a non fare mai un lavoro uguale o simile all’altro, ma piuttosto a sperimentare generi filmici e stili di regia differenti. Certo, ciò non basta a renderlo un regista di talento (ottimo attore non lo è mai stato), ma il coraggio c’è, pur se non sempre ripagato da esiti felici. Belle comunque la fotografia e alcune concitate scene d’azione.
Alberto Leali