Facciamo subito una premessa: il cinema di Mel Gibson non ci è mai piaciuto, dai successi intasca-statuette come Braveheart agli scandali annunciati come La passione di Cristo. Stavolta però dobbiamo ammettere che La battaglia di Hacksaw Ridge è un film riuscito e ricco di sequenze belle ed emozionanti. Gibson, attraverso una narrazione classica e lineare, segue sin dall’infanzia la vita di Desmond Doss, obiettore di coscienza e cristiano avventista, affidando al bravissimo Andrew Garfield, apprezzato anche in ‘Silence’ di Scorsese, un ruolo estremamente complesso. L’attore conferisce al suo personaggio una intensità, una umanità e un carisma ammirevoli, che giustificano la sua candidatura agli Oscar di quest’anno. Arruolato al fronte come soccorritore medico ed inviato sull’Isola di Okinawa, Desmond combatterà per la patria contro l’esercito nipponico senza armi e senza uccidere, riuscendo a salvare la vita a ben 75 compagni e meritandosi la Medaglia d’Oro. Basta già un protagonista del genere, descritto con efficacia e nitore, a rendere ‘Hacksaw Ridge’ un film bellico diverso dai soliti, anche se più per la materia trattata che per lo stile della messinscena. Il film parte in realtà in maniera non proprio esaltante, utilizzando una fotografia calda e patinata (un po’ effetto nostalgia) che accompagna Desmond dalle zuffe infantili col fratello allo smielato corteggiamento dell’infermiera (e poi futura moglie) Dorothy: i cliché da film romantico non mancano, il didascalismo pure, lo stile è abbastanza banale, ma l’interpretazione di Garfield è notevole. La storia si fa più interessante e coinvolgente, invece, quando Desmond decide di arruolarsi, dovendo tollerare le offese, le minacce e le violenze dei compagni e dei superiori per le sue idee religiose (anche se facilmente vengono in mente le scene dell’addestramento di Full metal jacket, a cui Gibson si sarà sicuramente ispirato). Poi arriva la parte migliore, l’ultima mezz’ora, in cui viene mostrato lo scontro col nemico e in cui Gibson dà il meglio di sé attraverso una regia ammirevole, caratterizzata da inquadrature e piani sequenza mozzafiato, e sbattendoci in faccia una violenza spaventosa e terribile che non risparmia nessuno (le punte splatter de La passione affiorano anche qui tra membra esplose e straziate). Il montaggio è straordinario, la fotografia diventa cupa e sporca, come conviene a ciò che si sta raccontando: anche in tal caso viene in mente un altro film, Salvate Il Soldato Ryan di Steven Spielberg, mentre decisamente minori sono le similitudini col bellissimo e più sfaccettato Lettere da Iwo Jima di Clint Easwood e col capolavoro poetico La sottile linea rossa di Terrence Malick. Insomma ‘Hacksaw Ridge’, nonostante le tematiche importanti, è spettacolo hollywoodiano allo stato puro: uno spettacolo spesso grossolano, con personaggi abbozzati e senza sfumature (i compagni di Desmond o i nemici giapponesi raccontati come belve folli e assassine) e una scrittura fitta di luoghi comuni; eppure potente, coinvolgente, emozionante. Sempre di spettacolare retorica hollywoodiana si tratta, ma sicuramente un bel passo avanti rispetto agli ultimi terrificanti lavori del regista australiano. E Hollywood sembra tornare a sorridergli, cercando di dimenticare il suo discusso radicalismo estremista.
Alberto Leali