Il secondo film da regista di Donato Carrisi arriva al cinema il 30 ottobre distribuito da Medusa
Dopo il successo de La ragazza nella nebbia, Donato Carrisi decide di mettere in scena uno dei suoi ultimi romanzi, L’uomo del labirinto, toccando stavolta l’hardboiled, l’orrore e il paranormale.
Mantenendosi in continuo equilibrio tra realtà e finzione, Carrisi alza l’asticella rispetto al primo film e costruisce un inquietante “mondo altro” in cui lo spettatore viene letteralmente inghiottito perdendo ogni coordinata.
Ci sono una città immaginaria afosa ed oscura, più labirinti materiali e mentali da cui fuggire, la paura del buio e degli spazi chiusi, le porte di ferro dietro cui si celano angosce che non vogliamo tirare fuori.
Samantha Andretti (Valentina Bellè) è stata rapita una mattina d’inverno mentre andava a scuola. 15 anni dopo, la ritroviamo in una stanza d’ospedale in compagnia di un «profiler», il dottor Green (Dustin Hoffman), che deve aiutarla a recuperare la memoria e a scovare, attraverso la sua mente, l’uomo che l’ha rapita. Nel frattempo, l’investigatore privato Bruno Genko (Toni Servillo), malato e assediato dai fantasmi del passato, si mette a sua volta alla ricerca del rapitore di Samantha. Scoprirà una verità che va al di là di ciò che la razionalità può comprendere.
Carrisi mescola una molteplicità di generi e personaggi e disvela gradualmente una vicenda contorta, che regala brividi e ripetuti colpi di scena.
Ma soprattutto ci mette di fronte alle nostre paure più recondite, dando loro sembianze umane e rendendole, così, ancora più potenti e minacciose: la battaglia per sconfiggerle si svolge tutta all’interno della mente, attraverso un doloroso ed arduo processo di ricostruzione e comprensione. Cosa c’è, allora, oltre il labirinto? L’agognata salvezza o una realtà ancora più spaventosa?
L’estetica del film, girato quasi completamente a Cinecittà, rievoca i grandi thriller degli anni ’90 (si pensi a Seven, Il silenzio degli innocenti, The Game), opere che hanno segnato un’epoca, ma che ormai non si fanno più (da qui la presenza in scena di numerosi oggetti vintage). Ma ai cinefili non sfuggirà neanche l’ispirazione all’universo inquietantemente onirico di David Lynch, a cui rimanda palesemente il “mostro” con la testa di coniglio.
L’uomo del labirinto è anche un film sulla morte, onnipresente compagna di viaggio con cui instaurare una perpetua ed infida sfida: lo dimostra la bella figura del detective chandleriano, sporco e provato nel fisico e nell’anima, di uno straordinario Toni Servillo.
Nel nutrito cast, in cui ogni attore, indipendentemente dai minuti in scena, ha un ruolo accuratamente disegnato, si segnala la presenza di Dustin Hoffman, che dopo anni torna a coprire un ruolo da co-protagonista.
Alberto Leali