Ivory: a crime story, del regista russo Sergey Yastrzhembskiy, è il più potente film di denuncia mai realizzato sul massacro degli elefanti in Africa. Avrà, al momento, un’unica data evento, il 26 settembre 2017, uscendo in 15 cinema italiani. Il film è stato premiato come Miglior Documentario al New York City International Film Festival 2016; ha ricevuto, inoltre, il premio per la Miglior Regia, il premio “For humanism in cinema art” al Vues du Monde Festival de Montreal 2016 e l’apprezzamento da parte del Dalai Lama XVI.
Il regista Yastrzhembskiy, ex diplomatico ed ex consigliere di Putin, ha iniziato, alla fine del suo mandato, un percorso di ricerca e approfondimento sulle tradizioni dei popoli e si è dedicato a un accuratissimo lavoro documentaristico, che, ad oggi, vanta 70 film, prodotti dallo studio cinematografico da lui creato e premiati in vari Festival, e 8 album fotografici, di cui uno pubblicato dalla celebre Skira.
“Facevo il diplomatico e ho lavorato molti anni per il Kremlino. Poi ho avuto una crisi di mezz’età e ho sentito il bisogno d un cambiamento – afferma Yastrzhembskiy – Ho preso lezioni di fotografia con un amico fotografo, col tempo sono migliorato e ho pubblicato diversi album. Per la Skira, sono stato il loro primo fotografo russo. Una volta uscito dalla politica, però, la fotografia non mi bastava, così ho voluto tornare in Africa per ritrarre quelle tribù che ancora tentano di vivere secondo regole ancestrali, e che sono ben poco rappresentate nei film”.
In questo suo ultimo Ivory, il regista fa luce su problematiche scottanti che riguardano il territorio africano, come il commercio illegale di avorio, il massacro degli elefanti e le minacce all’ambiente ad opera della civiltà moderna. “Sono un cacciatore anch’io e mi è capitato di cacciare con popoli autoctoni che conoscono benissimo il bosco e la savana – continua Yastrzhembskiy – La prima volta che sono stato in Africa, in Tanzania, per cacciare, sono rimasto scioccato nel vedere solo un fitto tappeto di scheletri e nessun elefante. Così ho iniziato a documentarmi e ho scoperto la terribile realtà del genocidio di elefanti”.
Ivory, infatti, è un racconto pluridimensionale, in cui il regista cerca le vere ragioni di un fenomeno barbaro e nocivo e le trova, in particolare, nel consumismo, nel capitalismo e nella religione.
Se è vero che gli africani cacciano e hanno sempre cacciato per sopravvivere, qualcosa è cambiato rispetto al passato. Infatti, oltre al rilevante fenomeno del consumismo occidentale, si è aggiunto quello, ancor più diffuso, proveniente dall’Oriente e in particolar modo dalla Cina. “La Cina consuma tutto l’avorio del mondo, legale e illegale – afferma Yastrzhembskiy – e le ragioni sono da riscontarsi nelle tradizioni cinesi, in particolare nella religione, favorevole al consumo di avorio perché simbolo, oltre che di lusso e prosperità, di rettitudine e giustizia. La crescita dell’economia cinese è coincisa con la trasformazione dell’Africa in un villaggio di proprietà della Cina”.
L’enorme lavoro di ricerca e di riprese di Yastrzhembskiy è durato 3 anni e si è svolto in ben trenta Paesi. “Il mio non è l’unico film dedicato a questo soggetto – dice Yastrzhembskiy – Durante questi anni, molti hanno protestato contro questi crimini, come ad esempio Obama. Sono iniziate anche molte investigazioni contro la Cina. Il governo cinese ha di recente proibito il commercio d’avorio derivante dalle zanne di elefante per sostituirlo con quello proveniente dai mammut, provenienti dalla Siberia. Una decisione storica, che ha provocato una diminuzione della domanda di avorio e la chiusura di qualche fabbrica. Oggi, sugli oggetti venduti, c’è scritto che sono fatti con avorio di mammut, anche se è quasi impossibile riconoscere le due tipologie. Nel frattempo, milioni di mammut sono morti in Siberia”.
Per realizzare Ivory, Yastrzhembskiy ha dovuto servirsi di telecamere nascoste e dell’aiuto della gente del posto e di organizzazioni non governative, non potendo contare sulla polizia e sui servizi diplomatici, irrimediabilmente corrotti. La protesta del regista russo si scaglia con forza contro i principali responsabili, dando voce anche a coloro che manifestano a gran voce il loro disappunto: ci sono, infatti, bracconieri, contrabbandieri, commercianti, il capo ufficio stampa del Vaticano, Federico Lombardi, ma anche il Dalai Lama e i rappresentanti di ONG che difendono gli animali e accusano gli organismi e i governi preposti a individuare e punire gli illeciti.
In sintesi, un film importante, di altissima missione civile ed informativa: una sfida per tutti i governi e le organizzazioni incapaci di fermare la sanguinosa questione del commercio dell’avorio. Un lavoro necessario e quindi assolutamente da vedere.
Roberto Puntato