Venezia75: l’altra faccia dell’Isis nel documentario Isis, Tomorrow di Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi, Fuori Concorso alla Mostra
Un viaggio di un anno e mezzo alla scoperta degli strascichi sociali lasciati dal conflitto fra i miliziani dell’Isis e l’esercito iracheno nella città irachena di Mosul. Isis, Tomorrow. The lost souls of Mosul ripercorre quei terribili mesi di guerra attraverso le testimonianze dei figli dei miliziani, delle loro vittime e dei loro nemici, puntando in particolare sui bambini che portano sulle spalle il peso di essere stati educati a uccidere per ideologia.
Isis Tomorrow segue, infatti, i destini delle famiglie sopravvissute, dei figli dei carnefici, di quelli delle vittime, delle mogli obbligate a scontare le colpe dei mariti: riflettendo al contempo sul futuro dell’Iraq e di un movimento terroristico che rischia di rigenerarsi dalle stesse radici da cui è sorto.
Anche adesso, infatti, che questa organizzazione criminale sembra indebolita, come nella città di Mosul, il suo lascito di odio e discriminazione è ancora vivido. Isis, Tomorrow si domanda infatti se l’Isis è stato davvero sconfitto e se la guerra si è realmente conclusa o continua in qualche modo, e in altra forma, a trascinarsi.
E’ dunque un coraggioso e importante progetto, di circa 70 ore di materiale, quello della reporter e giornalista Francesca Mannocchi e del fotografo Alessio Romenzi; un documentario inedito, che per la prima volta racconta l’altra faccia dell’Isis, ovvero di coloro che sono cresciuti a stretto contatto con i terroristi subendone la dominazione, e in seguito emarginati e discriminati da chi li ha combattuti.
Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi sono bravi nel raccontare il tutto con imparzialità, rigore e sensibilità, immergendoci in un risvolto dell’Isis e del terrorismo ben poco affrontato dai media, ma molto rilevante in Iraq.
Dopo la presentazione fuori concorso di giovedì 30 agosto alla Mostra del Cinema di Venezia, Isis, Tomorrow, prodotto con Rai Cinema, sarà in sala a settembre con ZaLab.
Dal vostro docufilm emerge qualcosa di molto diverso da quello che passa attraverso i media, in pratica un altro aspetto dell’Isis…
“E’ un racconto complesso e pieno di sfumature nel quale si raccontano gli esseri umani che vivono dietro la guerra e che dà voce a bambini e a donne costretti a far parte di un’organizzazione. Eppure è in loro che è insito il futuro dell’Isis: basti pensare alle donne che raccontano ai loro figli il coraggioso martirio dei loro padri“.
Dopo queste parole, mi viene da pensare se sono consapevoli di quel che fanno…
“Quello che ci ha sorpresi è che questa gente, diversamente da noi, ha la consapevolezza di quella che è la loro storia. Loro sanno che devono seminare perché un domani qualcosa possa cambiare. A loro non importa conquistare posizioni geografiche, ma l’atto di amore e di fede verso il Califfo, l’idea del sacrificio“.
Secondo voi, l’Isis essendo un fenomeno di massa, può essere strumentalizzato?
“L’Isis fa la sua propaganda diffondendo video di bambini con in mano delle armi: quello che abbiamo fatto contro questa propaganda è stato umanizzare questi bambini per poter combattere le loro idee. Loro puntano sui bambini perché sono il futuro. L’Isis probabilmente cambierà nome tra 20 anni ma non morirà. I dati parlano chiari: si è passati da 400 militanti a 10 milioni di militanti“.
Quali sono stati gli aspetti più significativi del vostro viaggio?
“Quello che ci è rimasto più impresso è stato il ragazzo che apre e chiude il film. Un ragazzo senza gamba nato dopo l’occupazione del 2004, che ha conosciuto solo guerre e sconfitte. Nel suo pensiero c’è una vera e propria rielaborazione della violenza. Un altro episodio significativo è quando chiedemmo ad un medico un’opinione su questi bambini e lui ci rispose che era meglio ucciderli subito perché sono nati sbagliati. E’ stata una bell’avventura e siamo pronti per un nuovo progetto, sicuramente in Libia”
Roberto Puntato