A due anni dall’uscita internazionale, arriva finalmente nelle sale italiane l’ultima fatica dell’irriverente Larry Charles, regista di Borat, Bruno e Il dittatore. Io, Dio e Bin Laden è basato sull’incredibile storia vera dell’americano Gary Faulkner, ex detenuto disoccupato e debilitato a causa della mancanza di un rene, convinto di dover adempiere, su richiesta di Dio, a un’importante missione per il suo Paese: scovare e uccidere Osama Bin Laden, capo di Al-Quaeda e responsabile dell’attentato alle Torri Gemelle.
Faulkner è indubbiamente il personaggio perfetto per un film di Charles, che ne sfrutta l’eccentricità e la personalità sopra le righe per mettere in scena le avventure di un moderno Don Chisciotte, con qualche pennellata alla Drugo Lebowski, che si reca ben undici volte in Pakistan per stanare il nemico n. 1 d’America.
Un protagonista così bizzarro e sui generis non può che conquistare subito la simpatia dello spettatore, che spesso stenta perfino a credere che ciò che sta guardando sullo schermo appartenga alla realtà. Ma è Nicolas Cage, finalmente alle prese con un ruolo che gli calza a pennello e grazie a cui può dare sfogo a un talento troppo spesso mortificato, uno dei principali motivi per cui correre a vedere Io, Dio e Bin Laden. L’attore colora, infatti, il suo Gary di infinite sfumature, offrendo, a dispetto della natura del personaggio, un’interpretazione calibrata nella sua sovrabbondanza, forse la migliore della sua carriera.
La tragicomica vicenda procede con i ripetuti e strampalati tentativi del protagonista di avvicinarsi al suo nemico, giocando, specie nella parte pakistana, su gag aventi ad oggetto incomprensioni e differenze culturali tipiche della satira di Charles. Fa sorridere, inoltre, che ogniqualvolta Gary sia sul punto di rinunciare alla sua missione, ecco ricomparire Dio (Russell Brand) a redarguirlo e ricondurlo sulla giusta strada: i loro dialoghi, surreali e irresistibili, sono tra i momenti più riusciti e divertenti del film.
La sceneggiatura, scritta da Rajiv Joseph e Scott Rothman, non sottolinea, inoltre, solo l’aspetto gustosamente folle del nostro protagonista, ma anche il suo lato più tenero e bonario, rinvenibile nell’affettuoso ed inedito legame che instaura con la sua ex compagna di classe Marci (Wendi McLendon-Covey), l’unica che lo accetta ed apprezza per com’è: entrambi, in fondo, condividono solitudine, marginalità e ferite della vita.
Io, Dio e Bin Laden è, dunque, un film preziosamente atipico nel panorama cinematografico americano e va salutato con gioia, perché non soltanto affronta temi delicati e spinosi, specie nell’America di Trump, ma lo fa con uno stile ibridamente libero.
Alberto Leali