Quarto capitolo del franchise di James Wan, iniziato con Insidious (2010) e proseguito con Oltre i confini del male: Insidious 2 (2013) e Insidious 3 – L’inizio (2015), Insidious – L’ultima chiave, firmato da Adam Robitel, sceglie di staccarsi dagli ultimi due (poco felici) capitoli, per tornare alle origini della saga, esattamente come avvenuto per il fortunato The conjuring.
Protagonista assoluta è la medium Elise Rainer, interpretata dalla veterana Lin Shaye, che ha acquisito man mano il ruolo di punta della saga e che è qui alle prese con i traumi del proprio passato e con un caso ben più difficile del previsto, viste le forti implicazioni personali che la coinvolgono.
Tutto ha inizio del 1954, proprio durante l’infanzia di Elise, segnata da un padre brutale e crudele, da un “dono” incontrollabile e da una casa popolata di spiriti che cercano di guidarla verso una terribile verità. E proprio l’incipit è tra gli elementi di maggiore fascino e riuscita di questo quarto capitolo, che descrive con pochi e incisivi tocchi un’infanzia fatta di sofferenza e violenza, malvagità e incomprensione. Si torna poi nel presente, ma poco prima del primo episodio della saga, con Elise e i suoi due simpatici “sensori” Specs e Tucker, impegnati in un nuovo lavoro, che ha ad oggetto proprio la casa dell’infanzia della donna.
E’ da questo punto in poi che il terrore inizia a correre parallelamente con il dramma interiore di Elise, in un percorso alla scoperta di quella parte di se stessa rimasta troppo a lungo celata. Ed è qui che viene fuori la vera essenza del film di Robitel: un dramma familiare di dolori mai sopiti, di ferite ancora sanguinanti, di padri crudeli e madri salvifiche, di mostri alimentati da paure troppo grandi. E ancora, un film di ritorni: ai luoghi dell’infanzia, agli orrori subiti o solo sfiorati, agli anfratti della memoria. Perché, in fondo, il mondo reale riserva maggiori crudeltà di quello sovrannaturale.
La vicenda di Insidious – L’ultima chiave sceglie un andamento non lineare e tra flashback e continui colpi di scena si arricchisce pian piano di sottotrame e personaggi, conducendo lo spettatore verso un epilogo inatteso, nonostante il passaggio di messaggi non certo nuovi per il genere.
Il punto di forza di Insidious – L’ultima chiave è proprio l’aver indagato su chi sia realmente Elise e soprattutto sul perché sia proprio lei ad essere coinvolta nelle vicende della saga. A ciò si aggiunge, a partire dall’inquietante incipit, l’efficace costruzione di un clima teso e malsano, accentuato da una fotografia minacciosamente oscura.
Pur non essendo un prodotto che rimarrà agli annali, Insidious – L’ultima chiave è senza dubbio, dopo il primo film, il migliore del franchise e riesce a dare linfa vitale a una saga che sembrava aver già detto tutto. Non è poco.
Alberto Leali