Una performance molto forte ma, nello stesso tempo, delicata, in cui confluiscono tutte le esperienze pregresse dell’artista, artistiche e teatrali. Appuntamento giovedì 19 dicembre alle 18.30
Manuela Traini (Civitanova Marche, 1982), in arte INIART, famosa per aver dipinto sul ventre delle donne incinte, da sempre riflette sulle tematiche legate alla femminilità, alla fertilità e alla maternità ma mai, come in “Nuovo Ciclo”, si era messa così “a nudo”.
INIART ridefinisce gli ingredienti della pittura attraverso il SANGUE del proprio ciclo mestruale. L’assorbente con le ali è la superficie su cui l’artista dipinge le sue citazioni ad alto contenuto emotivo.
Ogni mese, come una lancetta svizzera, l’artista si lascia guidare dalle forme che il sangue mestruale deposita sull’assorbente. Dipinge con piccoli pennelli e colori ad acqua sulle nebulose del plasma asciugato, seguendo i volumi biomorfici delle macchie, quasi fossero ombre organiche di una profonda vita spirituale.
Su ogni assorbente INIART dipinge un dettaglio di opere universali (Michelangelo, Botticelli, Van Gogh…) o simboli di forte impatto iconico (come la lingua di Andy Warhol per The Rolling Stones).
Non sono mai scelte casuali ma frammenti di un linguaggio emotivo, spunti iconografici che rinascono attraverso l’anomalia della superficie prescelta. L’artista reinventa così la citazione con un distillato di apparizioni immaginifiche, lungo un tempo mentale che rigenera le citazioni attraverso un nuovo DNA figurativo.
Giovedì 19 dicembre il corpo della pittura entra nello spazio dell’azione. Le sue ispirazioni rituali si integrano, per un solo giorno, all’azione catartica della performance.
Scarpe nere e rosse dai tacchi altissimi; un kimono nero; il corpo nudo nel suo istante assoluto. Una sala dalle pareti scure. Alcune opere incorniciate, disposte sul lato destro della sala.
Un’opera sospesa al centro, leggibile su entrambi i lati. Sulla sinistra lo spazio scenico della performance. Un leggio. Una sedia. Una luce per sagomare lo spazio dell’azione.
Il tappeto sonoro rilascia un pianoforte ambient, ascetico ma dinamico come l’atto del dipingere. L’artista compie gesti essenziali, limpidi, astratti, richiamando i temi del teatro Kabuki.
L’assorbente macchiato diventa, d’improvviso, l’impronta e la voce della sua pittura. Inizia un rito pagano in cui l’artista dipinge sopra la forma del sangue mestruale.
La stanza si trasforma in una sacca amniotica, un’astronave nel liquido del silenzio astrale. I suoi gesti ci conducono fuori dal caos urbano, oltre la dimensione del rumore. Finché esce dal nero e scompare dalla sala, tagliando lo spazio come una lama gentile.
Lo spettatore è rapito nel flusso creativo dell’artista, che scandisce sapientemente il ritmo dell’azione sulle note di una sonata per pianoforte (brano inedito di Natasha Tancredi, presentato in occasione della performance).